lunedì 21 maggio 2018

LE LEGGENDE DEL VECCHIO BLUES – Robert Johnson: intensi anni di studio offuscati da una stupida leggenda

Il materiale che leggerete di seguito, è stato originariamente pubblicato come appendice al romanzo “Sotterraneo al chiaro di luna” di Gianluigi Valgimigli (Claudio Nanni Editore; luglio 2016).

Robert Leroy Johnson (nato a Hazlehurst, nel Mississippi, l’8 maggio 1911, e morto a Greenwood, nel Mississippi, il 16 agosto 1938) è, insieme a Muddy Waters, il bluesman della vecchia guardia più ricordato e celebrato. Esponente del Delta Blues, profondamente influenzato da Charley Patton, Willie Brown e Son House, fu uno dei bluesman che influenzò maggiormente il rock-blues. Registrò in tutto 29 canzoni (la trentesima non esiste: è solo una leggenda, la sua vita ne è piena…), molte delle quali consegnate alla storia della musica del ‘900, in quanto tra i vertici della produzione del blues pre-guerra: “Hellhound On My Trail”, “Me And The Devil Blues”, “Terraplane Blues”, “Cross Road Blues”, “Travelling Riverside Blues”, ecc…, sono opere d’arte che hanno lasciato un segno indelebile, e hanno scritto importanti pagine della storia del blues, prima, e del rock, poi, presentando un innovativo stile chitarristico (che univa differenti correnti di blues) e vocale, che avrebbe avuto grande influenza su molti musicisti successivi. I testi delle sue composizioni, sebbene spesso pieni di frasi o espressioni rubate ad altri bluesman (ma non bisogna fargli una colpa per questo: era tipico all’epoca, e non solo nel blues), sono autentiche poesie dai toni molto spesso cupi e oscuri, che hanno contribuito ad alimentare le tenebrose leggende circolanti sul suo conto, creando un vero e proprio mito maledetto. Johnson morì a 27 anni in circostanze mai realmente chiarite (l’argomento è approfondito nella nota sottostante{1}), e fu il capostipite dell’ormai troppo chiacchierato (ha rotto il cazzoooo!!!) “Club 27”; si racconta che fu il Diavolo a venirselo a prendere (secondo l’ormai irritante leggenda, il musicista gli vendette l’anima a un crocevia a mezzanotte, per diventare il più grande chitarrista dell’epoca). Una cosa, però, bisogna dirla: la figura di Johnson, oggi, è forse fin troppo mitizzata e omaggiata, e questo è un male: in un genere, l’eccessiva mitizzazione di un artista rispetto ad altri, porta molto spesso a una totale ignoranza sulla conoscenza del genere stesso; purtroppo, la storia della musica è piena di casi simili (vedi nel rock, ad esempio… c’è da mettersi le mani nei capelli…).


NOTE:

{1} Sulla morte di Johnson non si hanno certezze precise (sul certificato di morte non è riportata alcuna causa concreta, e l’ipotesi dell’avvelenamento da parte del gestore di un locale cornuto, la cui moglie veniva sbattuta da Johnson, rimane la più accreditata) e secondo la leggenda – ma solo di leggenda si tratta – nel momento della morte si mise a quattro zampe e ululò come un cane; ovviamente è un falso mito, e il nostro Robert morì probabilmente nel letto di un amico (si era trascinato a casa sua, in preda al delirio, dopo aver bevuto dalla bottiglia che il gestore aveva per lui avvelenato), dopo 2 o 3 giorni d’agonia.

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