PREFAZIONE di Paolo Cutrì
Pensieri in onda sulla mareggiata aspra della vita. Pensieri
sulla cresta dell’onda immersi nella tempesta indomita della vita.
Pensieri ribelli e liberi sulle tracce inevitabili della vita. Pensieri
inquieti e beffardi scherniscono le amarezze della gioventù. Pensieri
gridano versi che a stento si riescono a sentire, poiché intorpiditi dalle
frequenze della realtà.
V oce ai giovani, figli essenziali per natura; voce alla poesia
sciupata nelle accademie e nelle stanze obsolete della cultura; voce a
chi la usa per urlare con rabbia e con passione l’indipendenza di
affermare e di rivelare come si vive nei vicoli ristretti della solitudine
e dell’incoscienza.
Urla, urla di dolore, urla di sofferenza per un amore, per una
inquietudine che assume i contorni della libertà di azione: nelle parole,
nell’immaginazione, nelle magiche emozioni dei misteri velati e delle
ombre sempre presenti sulla strada di ognuno.
Gridano i versi smilzi le note blues del ritmo profondo: l’anima
divampa e arde l’indifferenza. Freme il corpo steso sulle gocce
disilluse di una notte di sesso e di puro edonismo. Ansima lo spirito
interiore una rivalsa, una spasimata ricerca d’amore, che trasuda senza
freni e inibizione nello scorrere inevitabile dei pensieri, che si
tramutano in parole e urtano la vita.
I fiori che si colgono sono petali di rosa; le parole che si odono
sono miste di speranza e di una frantumata fede; i silenzi che si
apprezzano sono figli della riflessione; il registro adoperato agguanta i
toni di strada percepiti come scene evanescenti di una visione
cinematografica. Una chiave per la porta nascosta della propria
coscienza, per quella interiorità che disarma e rende tutto un po’più
vero.
La mia verità può non essere la tua, ma comunque è una verità!
Ed è mia! La puoi condividere o no, ma non puoi esserne schiavo. La
voce di Gianluigi Valgimigli si erge a paladina dei suoi pensieri, di
quella decadenza che è propria di chi rifiuta ogni logica fondata e ogni
patto precostituito con l’esistenza. La percezione è protettrice e
matrona degli spiriti puri e non lascia molto spazio alla semplice
comprensione, alla spiegazione, alla limatura: è rude, irrequieta,
autonoma, sganciata da orpelli stilistici e segni d’interpunzione, si
stende scevra da ogni pregiudizio, poiché trascende il concetto
medesimo, in quanto pura. Non basta una sola lettura per cogliere il
senso delle sue parole, occorre rileggere, con attenzione, poiché la
realtà narrata non è figlia dell’illusione, ma è assidua ricerca di pace
interiore.
Paolo Cutrì
INTRODUZIONE di Marco Ferrari
Le atmosfere e la grinta che evaporano dai versi di Gianluigi
Valgimigli mi ricordano quelle dell’Enrico Brizzi in stile Bastogne,
con uno slang metropolitan-emiliano, che evidentemente non è più
monopolio del capoluogo bolognese, ma che si è propagato come un
virus sfruttando le vene aperte delle vie di comunicazione spalancate a
pendolari e a giovani, universitari e non.
La Nizza in cui si muovevano i personaggi pulp di Bastogne
non riusciva a mascherare l’odore dei portici di Bologna, ma era uno
stratagemma malcelato per staccarsi dallo stereotipo del suo primo
successo Jack frusciante è uscito dal gruppo, troppo adolescenziale e
troppo cinematografabile.
Già faceva specie che i caratteri Bukowskiani fossero sbarcati
in Emilia, ma ora non ci deve sorprendere che delle storie di birra e
sesso o di sesso e birra possano vedere protagonisti dei personaggi che
ci vivono accanto, magari sul nostro stesso pianerottolo. E si può
trovare un animo ruvido anche nell’esistenza di un giovanissimo,
senza attendere la sua trasfigurazione cinematografica nelle sembianze
del maturo Ben Gazzarra di Storie di ordinaria follia.
Corpi che si incontrano, si sbattono addosso l’un contro l’altro,
si scambiano fisicità ed emozioni, inesorabilmente sconfitti
dall’insufficienza dei rapporti umani. Merita dunque un funerale coi
fiocchi solo la servizievole autoradio, che il suo dovere l’ha sempre
fatto finché era in vita.
La realtà delle cose regna sovrana su tutto: non si reclama
pietismo, né si attendono giudizi morali. Così è. Non resta che
accettare se stessi, demitizzando il vivere, ma usando la stessa
franchezza nel confessare i propri limiti. Magari si potesse sorgere
dalle nostre ceneri, come novelle vergini Fenici…
Le parole diventano uno spettacolo in sé, denudate nella
solitudine del singolo verso, spaccate chirurgicamente dagli apostrofi
o fuse da un’anossia di spazi.
La punteggiatura è evaporata e la sintassi è stata dunque
affidata ad una vecchia pellicola, di quelle che sobbalzano e
ripropongono fotogrammi precedenti, costringendoti a non abbassare
la guardia: se vuoi penetrare nell’intimità del racconto, sei costretto a
vedere e rivedere le scene, a leggere e rileggere i versi, per goderne lo
sviluppo e cogliere i dettagli principali. Alzi la mano chi aveva scorto
al primo passaggio il volto dell’assassina sullo specchio del corridoio
di Profondo rosso di Dario Argento!
E nulla ci deve sorprendere leggendo le liriche di Gianluigi.
Non ci si deve illudere che tutto scenda a piombo come la verticalità
dei suoi versi, perché all’improvviso si blocca l’invio della tastiera per
sbrodolare sulla destra e costringerci a rincorrerlo fino al margine ed
oltre. L’unica concessione alla formalità delle espressioni è quando la
realtà di un dialogo interrompe lo sconfinamento della mente,
marcando il territorio con le virgolette.
Una lettura godibilissima, per stomaci che cercano dalla vita
qualcosa di non banale.
Marco Ferrari
NOTA DELL’EDITORE di Claudio Nanni
Dal Greenwich Village di New York, “l’urlo” di Allen
Ginsberg, uno dei padri della beat generation insieme a Jack Kerouac,
William Borroughs, Gregory Corso, Lawrence Ferlinghetti, Neal
Cassady, Timothy Leary e altri, giunge in quel di Faenza nei versi
viscerali del giovane Gianluigi Valgimigli.
Un confronto, certo avventato, ma che rende l’idea di ciò che
egli intende con le sue poesie dissacratorie. Egli interpreta la rabbia di
una generazione che oggi come ieri non trova sbocco alle proprie
aspirazioni ed è costretta a ricercare, fuori dai ranghi, soddisfazioni
che spesso sono surrogati del piacere.
Un’amarezza di fondo circoscrive l’ambiente urbano e rurale,
in cui si svolgono gli atti senza costrutto di un sogno che non inizia
mai, benché l’aspirazione possa essere quella dell’evasione, che però
non si avvera, se non nelle demolenti sbronze alla Bukowsi, che
segnano gli anni sprecati solo in fittizie fughe dalla realtà.
La realtà schizzoide in cui si è costretti a sopravvivere nella
sfiducia che origina insoddisfazione e aggressività contro il sistema,
contro la società puritana e borghese, contro tutto ciò che rappresenta
il perbenismo ordinato, la disciplina, il conformismo che intruppa le
persone in classi di impiegati e operai ricattati costantemente dal
mostro della disoccupazione, dei conti da pagare (“in spiaggia
picchiavo la gente” un gesto inutile dispregiativo, che si interpreta
come picchiare se stesso, un gettarsi via fra noia e dolore).
L’erotismo ossessivo, quasi osceno sfiora una morbosità in cui
affiorano elementi di perversione ed autolesionismo, gettati là come
sberleffi provocatori fra sacro e profano, che rivelano invece fra le
righe la disillusione che genera il bisogno nevrotico di un riscatto
sociale, ma soprattutto intimo, individuale (“incendia il mio corpo e
rendilo puro”).
Non c’è sbocco, non si intravede luce né prospettive. Questo è
il malessere che trapela dai versi arrabbiati di Gianluigi, un poeta che
sa interpretare la vita di ogni giorno, quella che vive nel mondo
globalizzato, che fa di Faenza e Riolo il centro di Manhattan, Times
Square.
Gianluigi Valgimigli trasforma i versi in suoni come un blues
che sfocia in parafrasi jazzistiche che rappresentano la sua anima
celata dietro la ruvidezza del gergo a volte aspro come si usa al di
fuori dalle convenzioni.
Claudio Nanni
POESIE di Gianluigi Valgimigli
CALIPSO
Uscimmo
dalla casa
che fuori
era già buio,
aspettammo
un attimo
in giardino
-fumando-
che anche
Calipso
finisse e
ci raggiungesse,
sputai
a terra,
per poco
non presi
le scarpe
del mio
compagno,
mi doleva
un dente
ma il
dentista
era a
Faenza
e
Faenza
era lontana …
Calipso
uscì e
ci raggiunse,
le avevano
sporcato
dalla casa
che fuori
era già buio,
aspettammo
un attimo
in giardino
-fumando-
che anche
Calipso
finisse e
ci raggiungesse,
sputai
a terra,
per poco
non presi
le scarpe
del mio
compagno,
mi doleva
un dente
ma il
dentista
era a
Faenza
e
Faenza
era lontana …
Calipso
uscì e
ci raggiunse,
le avevano
sporcato
i capelli
e
la guancia
sinistra
ed
era bellissima
-la chiamavano
così
perché aveva
fatto
per nove anni
l’amore con un tale
sposato e
in esilio-
niente stelle
la luna
era mezza
la strada
di terra
un poco
infangata,
piovigginava
appena
e la nebbia
scendeva
-soffrivo tanto-
ci mettemmo
in cammino,
le mie
scarpe bianche
diventeranno nere
prima di
raggiungere
il paese
che comunque
già
s’intravedeva
a fondo valle.
Calipso
inciampò
e il mio
compagno
la prese
al volo,
le guardai
le tette
mentre si
ricomponeva
-non devo
vedere
certe cose
non ce la
faccio-
“avanti gente
ch’è ancora
lunga...”
qualche
altro metro
e
si fece
la notte,
guardavo
i campi
le montagne
sullo sfondo
-pensai-
un giorno
sarò là
ma
a volte
di notte
mi svegliavo
e
il fiato
mi mancava.
Il mio
compagno
si fece scuro
s’avvicinò
“non ti
dirò
mai più
FOTTITI …”
mi disse
ma
era ovvio
che ormai
c’ero dentro
fin’al collo …
scrollai
il capo
“forse
Calipso
non ce la
fa più
stalle
accanto”
risposi secco
e lui tornò
al suo fianco,
lei ora
zoppicava
io
non potevo
più
guardarla
era
bambina
a
Borgo Tuliero
e così
voglio
ricordarla
-EEEEEEK-
uno strillo
di poiana
volava sopra
la mia testa,
sono abituato
alle cose
che volano
dentro
alla mia testa
non sopra
ma
prima o poi
finiranno
finirà tutto,
Michael
ha comprato
una carabina
per difendersi
dalla
gente impazzita
quando
la rivolta
scoppierà
e
andremo su
al
Rifugio dell’Anima
insieme a
Pelle di Lupo
vegliati dal sacro
spirito di falco
Moral
ed io
avrò un
revolver
e difenderemo
a ferro e fuoco
il nostro
fortino
… però adesso
è ancora
presto …
ci fermammo
un’oretta
circa
perché a
Calipso
sanguinavano
i piedi,
il mio
compagno
con un
fazzoletto
glieli
asciugava
ma
non bastavano
non bastano
mai
e lei
si tenne
i suoi
pied’insanguinati
“se ti
bruciano
soffiaci sopra”
il rancore
insensato
che leggeva
nei miei
occhi
la scoraggiò
ma
non glielo
spiegai mai
non
avrebbe
capito
nessuno
può capire.
Quando ci
alzammo
non
ci fermammo
più
finché non
giungemmo
in paese
e
il paese
non
sembrava proprio
aspettarci
con
le sue
finestre sbarrate
luci spente
e
l’aria
di cose morte
ma
trovammo
lo stesso
una camera
ad
un ostello
e
comprai
due bottiglie
da uno
di birra
e
buttato là
sul
pavimento
me le
scolai
mentre
sul letto
il mio
compagno
curava
le ferite
di
Calipso
nel modo
che
cura
ogni male
e
quel dannato
d’un letto
gniccava
e lui
ansava
ma
Calipso
non aprì
bocca
-evidentemente
l’aveva già
aperta
troppe volte-
comunque
m’addormentai
scolando
birra
sul pavimento
...
anche
adesso
m’addormento
scolando
birra
sul pavimento
mentre
sramasso
qua
le ultime
boiate,
oggi
è stata
una pessima
giornata
cominciata
in blu
col Jazz
di Davis
alle sei
del mattino
rincasando
da
un ingrosso
di paste
che
i commessi
ti danno
colle mani
lorde
e
sudate
-penso-
il tempo
di cambiare
l’ho avuto
ma
stava agl’altri
farmene
render conto
e
Calipso
è morta
per quanto
mi riguarda …
una pessima
giornata
cominciata
in blu
col Jazz
di Davis
non può
che finire
col Jazz
di
Gianluigi Valgimigli
-onesto-
MORO LO SAPEVA
mi sbattevo
ad una festa
strusciand’il pacco
contr’il culo
d’una qualche tipa
ma
non che fossi
troppo felice,
ci vedevo
abbastanza quadruplo
e siccome
mi colse
la nausea
scarabattlai di là
in cucina
(la tipetta si voltò
non mi vide più
e su un altro pacco
si consolò)
è di là
in cucina
che c’era la festa!
tutti deliranti
sbavando sul tavolo
bianchi
bianco anch’io
eravamo soltanto
un mucchio
di cadaveri,
voltandomi
sul lavandino
lo riempii
di vomito
e mi pare
mi tirai
giù i calzoni
e pisciai
sul pavimento
o
forse confondo
e fu il mio
vicino
a pisciare
comunque
qualcuno pisciò
perché la
stanza si
riempì di
puzzo d’urina
d’urina alcolica –
e mi misi
a ridere
mentre
una discreta gnocca
sulla porta
mi chiese
le credenziali
“ mon amùr
vieni a
sdraiarti
sul divano
con me
e ti preparerò
al futuro”
gli dissi
e quella
mi seguì
tutta contenta
(fighetta furbetta
dall’alito spermico
quanti lavori di bocca
hai fatto
ai chierichetti
di S. Battista
prima d’esser
qui
sta sera)
e poi
là così
sul divano
abbracciati
gli stringevo
una tetta
nella destra
e una lattina
birra strana –
nella sinistra
ma ancora
pensavo a me stesso,
mi sembra
tutto così assurdo
ricordando
qualche anno fa
tutto quello che
c’è stato
e
mi ha ridotto
così
sì ma
io non ero quello
no
io sono questo
sono un
cadavere tra cadaveri
nelle feste
all’urina alcolica
e
all’alito spermico
e
alle mani sulle tette
(come la sua
gonfia
di voglia)
io
ora
ripenso a tutto
e rido …
Moro lo sapeva
quando
ha detto
ch’è
difficile
dedicare
una vita
al lavoro
nelle aziende agricole
nei campi
e le banche
che fottono
sotto di
quattromila euro-
e
la crisi
dell’italia
in crisi
ormai
è un
luogo comune
e ho fatto
un figlio
nei tempi
di crisi
nato in
un’ italia
di crisi
e quindi
mi rintano
qua
tra una birra
strana
e una tetta
gonfia
che mi
arroventa la
mano
e mi
stimola
il pacco …
qualche troia
s’è tolta la
maglia
per mostrare
il seno
e
sentirsi
importante
e tutti
ballano e sudano,
anch’io
mostro
il seno
alle troie
ai cadaveri
all’italia in crisi
alla birra
al vomito del lavandino
all’urina in cucina
e
alla fighetta furbetta
che ha
ridato la vita
al mio bassoventre
depresso,
più tardi
su in camera
le darò
ciò che
vuole .
Tutto è perfetto
Tutto è perfetto
nel dolore
e
negli errori
e
in ciò che
ho perso,
Moro lo sapeva
e penso
d’esser il primo
che
l’ha scritto
in una
poesia
AUTORADIO BLUES
Avevo una vecchia autoradio
Avevo una vecchia autoradio
mi cantava il blues
da mattina a sera
Era un sorpassato modello a cassetta
Era un sorpassato modello a cassetta
ma giuro, tesoro
era tutto quello di cui avevo bisogno
L’inverno ghiacciava i miei finestrini
ho detto
L’inverno mi ghiacciava i finestrini
e mi arricciava il cofano
ma, perdio, non sentivo freddo
grazie alla mia vecchia autoradio
Mi svegliavo alla mattina
e il suo canto mi scaldava
giuro che
Mi svegliavo di mattino
e il suo canto mi riscaldava
canticchiavo quelle note
e mi sentivo soddisfatto
ripeto
canticchiavo le sue note
ed ero così soddisfatto
Ma un giorno la mia vecchia autoradio
smise di cantarmi il blues
sì,
La mia amata vecchia autoradio
smise di suonarmi il blues
e sospirai, ok, i tuoi giorni
son finiti
ti farò un funerale a ritmo di Jazz
Scavai una buca per la mia
vecchia autoradio
sì, ho detto che
Scavai una buca per quella mia
vecchia autoradio
ve la calai con una
catena dorata
cosicché la gente possa dire
quella era l’autoradio di un ricco
l’autoradio di un uomo ricco
E adesso l’inverno
mi ha crepato il finestrino
Oh dio,
L’inverno mi ha
accartocciato il cofano
sono una vecchia automobile
che non sa più cantare
ADRIATICO
Stanotte,
che malinconia
brucia il ricordo
del tempo andato
piange un’amica
il triste amore perduto
bagnando le pagine
di un vecchio diario
l’adriatico
steso sulle
mie coperte
fuori dalla finestra
-…la ricordo
aperta…-
veniva il profumo
del mare
e la musica
dei concerti
lungo la strada
mamma dormiva
nonna russava
peggio del cane
io ero violento
e giù in spiaggia
picchiavo la gente
laaa dooo-me-ni-caaa
lungo la riva
lungo la riva
coi piedi
affondati nella sabbia
cambiata in fango
coi tuoi
piedi
sul letto
camicetta rosa
faccia di bimba
(vedi?, io non ho scordato!)
faccia da schiaffi
“solo a volte, però…”
là!,
è là che
mi cacciarono via
dalla sala giochi
volevo solo
cavalcare
volevo che
le luci
m’avvolgessero tutto
perché già
mi sentivo
protagonista del mio
stupido romanzo…
Lorenzo
non cantare
sotto alla doccia
e stai attento
cerca sempre
qualcuno con cui
dormire
perché oltre il
vetro
è scuro
-più scuro di qui!-
e qualche bestia
in agguato
ci sta sempre
---
Sento solo
adesso
l’orologio che
ticchetta
mi nascondo
la faccia
mi cancello
le gambe
tuttettre
mi piacerebbe
tanto
un giorno
rivedere l’adriatico
ma ho
paura di piangere
piangere
piang…
ultimamente
piango
troppo.
FRANCESCA
Francesca,
il nostro bellissimo
sogno d’amore
iniziato per la
corda d’una
chitarra
spezzata
fuori nel vicolo
di fronte all’albergo
Cesenatico
ragazzi di colore
suonavano
in strada
io suonavo
con loro
avevo la barba
lunga
e il cappotto
non riusciva a
coprirmi
dalla fredda
brezza che dal
mare viene
quando scende
la notte
la prima volta
c’incontrammo così
scendevi le scale
due alla volta
e pareva proprio
che tutti
suonavamo per te
cosa importa
se già un
uomo ti
scaldava i piedi
sotto alle
coperte
della stanza
trentaquattro
eri così bella
che solo lui
non poteva
bastare
passandomi
di fianco
la mia chitarra
perse il Si
“OOOOOOohhhh, non sarò stata io, di grazia?”
“Mia bella signorina, non ne abbiamo sicurezza, ma è certo che lei è
bella
e potrebbe in questo modo, aver scioccato la chitarra, comunque sia
o
non sia, mi inviti fuori a cena e scorderemo l’accaduto!”
E iniziammo
a camminare
per le vie
che vanno
al mare
e al pomeriggio
ti amavo
ferocemente dentro
te
il mio orgasmo
filava liscio
il tuo
bagnava le coperte
della stanza
trentaquattro
un secondo
al bagno
per lavarsi
e via via
giù in spiaggia
a fare
i pazzi
peggio
dei pazzi
mi aggrappavo
a te
ti infilavo
una mano
sotto alla
maglietta nero
lucido che
sempre portavi
e ti palpavo
il seno destro
e tu
ridevi e
chiedevi un
bacio
un bacio
con tutta
la lingua
“Ed io, mia cara, che pensavo, siccome tu già di un altro eri e
soprattutto più grande d’undici anni, che mai e poi mai
avresti prestato nota a un barbone quale io sono!”
“E tu, mio caro, pensavi molto male, siccome io già t’amo e voglio
farti d’amante, d’amica, da sorella e da madre!”
e fammi da
tutto questo
-sporco mondo!-
fammi pure
tuo del
tutto
perché già
da troppo tempo
ormai
io non sono
più di
nessuno
e ho perso
la mia voce
ma tu
me la puoi
ridare
amanteamicasorellamadre
tu puoi!
e continuammo
e passò una
settimana
e io
ti amavo troppo
avevamo il
progetto di
volare in
deltaplano
lungo tutta
la costa
fare in cielo
ciò che in
terra
toglieva troppo
tempo al
nostro amore
ma mai
saremmo riusciti
perché tutto
finì
una domenica
sera
al tuo albergo
cena di lusso
con minestra
di pesce e
alghe
al ristorante
c’era pure
quella stupida
mia ex
che
abbracciata a
suo padre
moriva verde
d’invidia
a vederci
così uniti
“Vedi, caro, in un piattone ti portano due tipi di minestra mischiati
e ciò mi fa incacchiare non poco, ce né un tipo verde con alghe e
un tipo rossa, con peperoncino e gamberi, ecco, quella rossa mi fa
prudere tutta, qua sotto, se anche solo la sfioro con la punta della
mia rosea lingua, perciò son costretta a dividere il tutto,
minuziosamente, ogni volta, eccheccaspio!”
io
al contrario
ci davo dentro
in quella rossa
quando
d’improvviso
m’accorsi
-sarà forse stato il peperoncino? Mboh…chissà…-
che tutto
era finto
che il ristorante
era finto
che la gente
era finta
che la mia ex
era finta
che la minestra
era finta
e
che tu
-che dolore, il mio cuore!!!-
che tu
eri
finta
era stata solo
l’ennesima
presa in giro
l’ennesimo scherzo
del telefono
che suona
e quando
alzi la
cornetta
risponde sempre
e solo
una voce
registrata
non potevo
sopportarlo
non un’altra
volta
e
mi alzai
di scatto
in piedi
e corsi via
velocemente
contro il vetro
del ristorante
rompendo
il vetro
del ristorante
che
tanto era
finto
e presi il
largo
via via via
verso il
mare
-la tua voce finta cercava di fermarmi, alle mie spalle, ma già non
badavo
più alla trappola dannata-
verso il
mare
e
verso l’oblio
che ci
conforta
quando la vita
ci ha segnati
e ridendo
ha deciso
che
siamo i
suoi
giullari
BAMBINA INDEMONIATA
Vivo con una bambina indemoniata
non ci sono crocefissi in casa
Vivo con una bambina indemoniata
vietati i crocefissi in casa
tutte le volte che m’inginocchio dice
nessun dio ti potrà salvare
Sono stato posseduto
dal demone del suo amore
Sono stato posseduto
Ooooooooooooooh yeah
dal maledetto demone del suo amore
non c’è esorcismo che conti
io sono nato per star male
Quando mi prendi
Oh bambina
io mi infiammo tutto
Oh yeah
Quando alla sera a letto mi prendi
piglio fuoco dappertutto
non posso far altro che morire arso
nell’inferno del tuo bassoventre
Permettimi di
prostrarmi ai tuoi piedi
sì,
permettimi di
accucciarmi ai tuoi piedi
e lucidarti le nere scarpe
mentre mi picchi a sangue
col tuo forcone dorato
mi scavi la schiena
col tuo forcone dorato
Uccidimi annullami
ti ho venduto l’anima
fanne ciò che vuoi
sono il tuo schiavo
sono un verme dannato
Oh figlia del demonio
portami con te
nelle cupe lande
dell’entroterra
HAIKU BLUES
e d’aprile
la pioggia
sta cadendo
da due giorni
e non
si ferma
io fermo
non cerco
più
di scoprire
le tue
menzogne
cerco
qualcosa di meglio
ma la pioggia
beh
la pioggia
non si ferma
le donne
di cui avresti
bisogno
son sempre
d’altri
ma a questo
probabilmente
ci si era
già arrivati
da tempo
sputo giù
pensieri mitraglietta
quando
il tavolo
scricchiola
io Babbo
sbatto le mani
Mario
sbatte le mani
le sue
si perdono
nelle mie
comunque
mia madre
per ora
spazza
i miei sbagli
sott’al divano
ma la scopa
si spezzerà
sera nostalgica
questa
dalle tv
cantano
la morte dei miti
e
io canto
sapendo
che mi
resta
ancor tempo
ma
quelle donne
oh sì
quelle donne
che
son sempre
d’altri
se t’avessi
una sera
ringrazierei
la terra
delle tue scarpe
guardandoti
rivedrei
notti estive
dei nascondini nella
via
al lume
dei lampioni
toccandoti
risentirei
profumo d’acqua
degli stagni
tra le siepi
d’un afoso crepuscolo
da gracidio
di rana
baciandoti
riassaporerei
biciclette parcheggiate
nei vigneti rosa
sul sentiero
che porta
alla nostr’adolescenza
mmmmmmhoooooooooh
sto impazzendo
ormai
e questo
ne è
il frutto
ma tanto
vincono sempre
i soliti
fiorellini
di campo
tanto
le uscite
di febbraio
sono finite
da un pezzo
i
rendez-vous
magici
dell’ora di punta
sotto il mio
maglione
non ce né
più segno
e
i segni
di adesso
mi fanno
stancare
senza appagarmi
mi sono
specchiato
e
la barba
era fatta
le ciglia
pure
il naso
sempre al suo
posto
le orecchie
non ancora
impiastricciate
di cervello
e quindi
che fare
ora
sì
che cosa
fare
oltre ad
ascoltare
la
noia depressa
dei
miei pensieri
piangere
un po’
in camera
-dei miei-
fazzoletti
alla mano
farà
passare
la prossima
ora
hah hah hah
ndooooooooooooo
beh
ho preso
lo zaino
sì
ho preso
il mio
vecchio zaino
e
sono uscito
di casa
I got ramblin’
Yeah
I got ramblin’
on
my mind
Yeah
cantavo
e
raggiunta
la fine
del paese
dissi
“bambina,
ho
scelto
la strada”
avevo sempre
desiderato
dirlo
I MIEI GIORNI DI GUERRA
Ho strisciato
nel
fango
delle trincee
ogni sasso
era
coperto di
sangue fresco
sopra la
mia testa
volava piombo
dentro alla
mia testa
cercavo
un senso
quando alla
notte tutto
s’acquietava
era lì
che cascavi
all’inferno
i pensieri
le grida
il tuo
compagno
accanto
che fuma
e ti
ripete
è soltanto
un passaggio
un giorno
anche noi
vedremo
il cielo
è solo
un passaggio
ma più
lo ripeteva
più ero
certo
che non
sarei
voluto
andare avanti
-
Nei momenti
di congedo
giù
ai bordelli
sacri
nel cuore
di una
città distrutta
le puttane
sifilitiche
mi facevano
l’occhiolino
e aprivano
le gambe
mi stava
venendo
la nausea
d’amare
leggevo
le memorie
dei grandi
patrioti
e cercavo
una risposta
ma
non sono
un eroe
e
odio
la mia
patria
e
non ci
sono
bellissime
infermiere
bionde
qui
solo la
tosse e
la puzza
di un
branco
di disilluse
battone
-
Mi
avevano
detto
è l’onore
mi
avevano
detto
tutte quelle
inutili
cose che
gasano i
giovani
vai
sei un
guerriero
combatti
avrai oro
e medaglie
ma
io non
sono
un guerriero
ho sempre
buttato
all’aria
tutto
al primo
ostacolo
e
questi
giorni
maledetti
questa
assurda
agonia
mi pesa
sulle spalle
e faccio
fatica
ad alzarmi
il cuoco
dice
il mio
rancio
è il
migliore
in tutto
l’esercito
un bravo
soldato
mangia
un bravo
soldato
pensa alla
salute
loro
non sanno
cosa
significhi
alzarsi al
mattino
e vomitare
anche l’anima
ma poi
qua non
abbiamo
più un’
anima
qua
arranchiamo
come
marionette
con la
promessa
della gloria
futura
e delle
belle gambe
delle
donne di
classe
-
Andiamo
adesso
fucili alla
mano
verso le
loro illusioni
che mie
non son
mai state
andiamo
siamo
costretti ad
andare
siamo
costretti a
lottare
per non
farci
annientare
dal più
forte
è questo
il senso
della vita
e quando
lo capisci
ecco
che vorresti
farti
schiacciare
avevo
una donna
a casa
ma
probabilmente
adesso
non c’è
più
in tenda
di notte
senti
piangere
chi stringe
il cuscino
e vorrebbe
fosse
il calore
della moglie
o
della ragazza
o
dell’amante
e
quei cuscini
al mattino
sono secchi
dello sfogo
dei
loro sessi
in triste
erezione
ma
non è
altro
che un
ennesimo
modo di
piangere
e
quindi
andiamo
marionette mie
andiamo
abbandoniamoci
a questi
fili
loro ci
condurranno
alla gloria
eterna
la vita
è
una guerra?
e
allora
lottiamo
finché non
saremo
un cazzo
di nome
su un
pilastro
alla memoria
in un
cimitero
fasullo
IL BLUES DEI LETTI DISFATTI
Sono qui
nudo
sopra a te
senza di te,
bambina
sei uno strano tipo di donna
che pretende amore e attenzione
senza dare in cambio passione,
cerco disperatamente
un segno che mi dica
che sei viva
mentre soppeso le
note stonate
di questo blues che
cigolano dalle molle
di un letto disfatto troppe volte
che già è arrivato
alla fine dei suoi giorni,
tu già sei arrivata
alla fine dei tuoi giorni
con amore diventato voglia
voglia diventata obbligo
e obbligo diventato assenza
tu sei assente e sorda
ai miei lamenti,
abbiamo aperto insieme le porte
di questa prigione
ma solo tu avevi la chiave
per uscire
ed ora
l’hai gettata via
e m’hai lasciato solo
questo blues dei letti disfatti
NOTTURNO ANDANTE
Scuoti le chiappe
Scuoti le chiappe
il gestore della discoteca
è uno che scende a patti
con le ragazzine
riempimi il bicchiere
che sta sera mi scaio
voglio stare un’altra ora
appoggiato al banco
a immaginare nude
le cubiste
tanto a casa
solo il muro m’aspetta
ed è già troppa compagnia!
i truzzetti si
lanciano in pista
jeans calati
un rimorchio sicuro
“ehi bambina,
vieni a vedere di
che marca sono le
mie mutande!”
“tesoro, tesoro
imboschiamoci al cesso
stasera a cena
ho mangiato poco”
calore al chiar di luna
per chi uscì dalla stalla
accendi la lampada
e fammi leccare dal cane,
uniamoci al ritmo
del notturno andante!!!
Qui nella zona industriale
è una giungla di bordelli
le signore si perdono
nel buio che fa sera
se le trovi
non lasciano scampo
volevo uscire per
prendere una pasta
son rientrato
con lo scolo
è difficile rimanere puliti
tra i fumi delle industrie
il massimo del divertimento
è però quando ti sorprendono
adesso giro a gambe larghe
e perdo sangue dal culo,
fatico un po’ a tener il ritmo
del notturno andante!!!
Clarissa
nordica biondina dagl’occhi di ghiaccio
nasconde la roba
nel cruscotto dell’auto
lascia sempre qualcosina
per gli amici
è una donna di buon cuore
in estate
si stende nuda
sotto al ponte delle grazie
vicino al fiume
qualche zanzarone barbuto
si ferma sempre
a punzecchiarla
solo una volta
ha lasciato il segno
ma con una pomata
il dottore l’ha guarita
con le mani fa lavori
come nessun’altra sa
rolla da dio i cannoni
soprattutto i tuoi
e spesso ha camminato
anche in mezzo a canneti,
cavalcando con onore
al ritmo del notturno andante!!!
Son le cinque di mattina
fra poco inizieranno
a cantare gl’uccelli
il mio purtroppo
è qualche mese che non canta
ma sono fiducioso
delle donne d’oggi
dopo il decimo bicchiere
è normale il mal di testa
e forse lo è anche
quell’ombra che ride nel salotto,
al piano di sopra
le molle del letto
hanno smesso da due ore
di cantare
se non mi fossi
messo a bere
a quest’ora dormirei
ma io sono pazzo
e mi diverto così,
ombra che ridi nel salotto
vieni più vicina
voglio darti il volto
della donna che ho amato!
…adesso sono stanco
e sudo tutto
getto via la penna
stoppo il disco,
anche per stasera
ho finito di ballare
il mio notturno andante!!!
PIANTO DI VENERDI’
Ti prendevo il viso tra le mani
e te lo accarezzavo
quando mi guardavi con quegl’occhi sperduti
reclinando un po’ il capo
eri così carina
che avrei potuto mangiarti
eri la mia bambina
un cucciolo da accudire
e non avevo capito niente
mi sono innamorato di te
quando tu ormai non lo eri più
in fondo sono felice
se stai ricostruendo
quella parte che ti ho ucciso
più o meno tre anni fa
io sto morendo adesso
piano piano lento lento
giorno dopo giorno
ora ho capito tutto
ho realizzato
che la mia continua ricerca del male
non porta ad essere
artisti migliori
ma porta solo a naufragare
in quel male
è veramente una colossale fregatura
non sono un poeta più valido
sono semplicemente un poeta
che ti ha perso
e sembra sul serio ieri
che ti stringevo nuda
al mio fianco
su quel grande letto
che ora ho tolto
e ti facevo il solletico
e tu ridevi felice
e mi chiamavi amore
e mi amavi, sì!,
lo so che mi amavi
e dicevi che ero
l’uomo della tua vita
la persona più importante
della tua vita
vivevi per me
solo per me
ed io ti ho persa
persa per sempre
e allora
venite su dalla tomba
vi prego
a prendermi
venite a portarmi via con voi
venite per favore questa notte stessa
mi sono stufato
venite a prendermi
venite
venite
venite
venite
venite
venite
venite
venite
venite
UOMINI COSTRETTI A PERDONARE
Ci sono uomini
costretti a perdonare
perché l’inferno
è meglio
viverlo in compagnia,
Ci sono uomini
costretti a perdonare
perché la vita
è inganno
e non speranza,
chiusi
uccisi
bestie maledette
nient’altro che bestie
carne per barbecue
al sabato sera!
Ci sono uomini
costretti a perdonare
perché l’inverno
in città
gela i laghetti nei parchi
e le anatre muoiono
ignorando il cielo,
Ci sono uomini
costretti a perdonare
perché ci sarà sempre
una stanza
da cui ricavare
la perfezione di un muro bianco,
accartocciati
buttati
fazzoletti sporchi
nient’altro che fazzoletti
per l’orgasmo
dell’uomo della porta accanto!
Ci sono uomini
costretti a perdonare
perché l’hanno già fatto
e hanno capito
che se parti
lo fai solo per tornare,
Ci sono uomini
costretti a perdonare
perché si guardano attorno
e
il popolo è un fantasma
la città un cimitero
i violini beccano le autostrade,
Noi siamo gli uomini
costretti a perdonare
piangete un po’ per noi
ma prima siate certi
d’aver pianto per voi stessi!
SNIFF! SNIFF!
Abbaglianti alla finestra
latrati nel vicolo
la serenata d’un barbone
vortica la stanza
stesa nuda sul letto
m’inviti a un altro giro
vomito sul pavimento
le tue gambe senza fine
sei la donna che
risorse dal fango
per purificare l’utero
alla fonte;
Sniff!Sniff!
ne prendo un po’!
Sniff!Sniff!
un altro po’!
Questa stanza calda
ricorda l’abbraccio di
mia madre
seguo la pista
dal tuo seno all’ombelico
nascondo il volto
nei tuoi biondi capelli
un tempo una dolce
casalinga
m’offriva riparo
ma adesso è morta
dischiudi le cosce
disegnerò una scia
fino ai tuoi piedi;
Sniff!Sniff!
ne prendo un po’!
Sniff!Sniff!
un altro po’!
La finestra è la bocca
di una bestia
che scandisce il Sacro Verbo
le pareti colano
di malinconico blu
forse stiamo morendo
o stiamo imparando a vivere
tu sei la mia vergine
che in cima al colle
aspetta, dormendo …
Sniff!Sniff!
ne prendo un po’!
Sniff!Sniff!
un altro po’!
UN UOMO CHE HA PREGATO POCO
Sono un uomo che ha pregato poco
e tu sei una donna che ha pregato troppo
sempre inginocchiata davanti
a qualche povero cristo ,
eressi il mio sacro altare
sciupando anni di
supposizioni e tormento
solo per scoprire
di avere sciupato altro tempo
inseguendo con lo sguardo
l’ultima nebbia spazzare via
l’inverno
e sui campi e attorno
era solo l’ingenuità
che mi avrebbe ucciso ,
noi erigemmo il nostro sacro altare
per celebrare una messa nera
per celebrare una messa nera
e venne tuo cugino
ti lasciasti ai suoi voleri
nuda leccandogli i piedi
era il tipo ganzo
che non lascia scampo
era l’uomo giusto
per la tua famiglia
li capiva quando parlavano
e spingesti in fuori il culo
e recitando il rosario al contrario
lo ascoltasti
piegata e piagata
sussurrare alle tenebre
“signore dorato
dei paradisi abissali
sia fatta la tua
volontà!”
e fece volontà
gettando i fioretti pasquali
nel cortile dietro casa
tra l’erba divorata
da larve di mosche ,
e il tempo passava
incalzando sulla mia cecità
giocavo a fare l’uomo rude di casa
mentre tu giocavi
a fare la puttana
giocavi a fare la puttana
ho capito troppo tardi
il perchè della tua assenza
ed ora alla fine di tutto
perchè tutto è finito
ho distrutto per sempre l’altare
ti ho ingiuriata un poco
e mi sono chiuso in camera
a raccogliere i frutti
di questi tre anni sprecati
VIOLENZA SUL SEDILE POSTERIORE
e le lacrime
cadranno amare
sulle pagine
sghembe
di questa
poesia di dolore
…
!!!
AAAAAAAAAAAAAAh
!!!
questa volta
te le strappa
le mutande,
vedrà
quella macchia
puzzolente
di chi
ha lasciato
andare
il corso
dei suoi eventi
SI’,
e sarà là
là dietro
a quel sedile posteriore
che compirà
la sua
violen-za-za-za-za
la sua
violen-zu-ppa-ppa-zu-n-ppa-ppa
all’incirca
trentaquattr’oc’cinque
anni
padre antico
di una
famiglia morta giovane
sarai bellissima
colle gambe aperte
muco da parto
e
con la
coda degl’occhi
i passanti
diranno
“fu stupenda
la rappresentazione
di quella
Maria impalata”
la sua
santa testa
-ricorderai
in
seguito
…-
pareva avesse
l’aureola
tant’era incantata,
il
pennone
maestrale
grosso
pieno di peli
glielo sbatteva
sulla
guancia destra
a colazione
e
sulla sinistra
durante
lo spuntino di mezzanotte
sul divano
là
come
in
una
tomba
dorata …
parevano
quei grandi
santi maestri
morti
per la patria
con le
mani
le sue
di lei
mani
che graffiavano
la pelle
producendo
un gnikki gnikki
fastidioso
nelle sue labbra
le carnose
divorate da rossetto
la lingua
di lui
le nutre
saporito
di
sapore
ai frutti di bosco
gliele mangiava
gliele pappava
fino a
fargliele sanguinare
e
non riesco
proprio a capire
ancora
non posso capire
finestrini appannati
sobbalzi meccanici
scoppi gassosi
tubo di scappamento
“OOOOOOh sìììììììììì
eh eh eh
è proprio grosso
come il
tubo di scappamento
eh eh eh…”
annusa
la macchia
delle tue mutande
lecca
la macchia
delle tue mutande
i tuoi
piedi poggiati
sui
sedili davanti
uno
per sedile
lui ti sbatte
perché
adora le tette grosse
gli piace
strizzarle
e
sucarle
(suzioni del porco nel vicolo lordo,
era pressappoco l’una del mattino)
la tua faccia
era migliore
di quella
di tante altre…
-
…la pioggia
poi li trovò
dopo che
tutto
ebbe fine
addormentati
e
abbracciati
innamorati
per noia
ma
pur sempre
innamorati
picchiettando
sui vetri
che
già sbollivano
parcheggiati
nel
parcheggio
centro-maternità
Faenza
e
davvero
lei era
Maria
e lui
a quanto pare
un santo
dall’aureola fatata
STANOTTE VIVO
Oh sì,
il sesso!
il calore
dei corpi
nudi
che si
strusciano
sul letto
voglia di
fare
sesso
con
tutti
tutti i
corpi sono
uguali
sono caldi
sono morbidi
la carne
sotto di
te
mordo la
tua carne
il tuo
naso
percorre
le vene
del mio
collo
siamo biondi
siamo biondi
abbiamo
i capelli
lunghi
e siamo
biondi
e
scivolano
sui tuoi
fianchi
le mie
mani
mentre
mi
stritoli
sul
tuo petto
questa notte
non ho
voglia di
morire
se non
sarai tu
ad
uccidermi
godendo
godere
dischiudo le
labbra
guardando il
soffitto
chiudendo
gl’occhi
al passare
della tua
lingua
sulla mia
guancia
sinistra
leccami tutto
d’appertutto
voglio bagnarmi
bagnami tutto
sono una
puttana
dagl’occhi
verdi e
grandi grandi
passa il
dito
sul mio
capezzolo
infila il
dito
nella mia
bocca
voglio succhiartelo
tutto
stringimi
i seni
stringimi
i seni
stringimeli!
e poi
permettimi di
farti capire
che
non sono
un uomo
finito
lasciandoti
amare
come mai
prima d’ora
io lo
so che
ho
ancora
qualcosa da
dare
e voglio
dartelo
tutto
amore
amore mio
l’amore
è
caldo
è
tanto caldo
stretti stretti
sempre
più stretti
stringiamoci
uniti
tanto da
scomparire
l’uno dentro
l’altro
ooooooooooooooooooooooooooh
voglio sentire
il tuo
orgasmo
tutto in
faccia
voglio
bruciarmi
la faccia
col tuo
orgasmo
questa è
la
cosa più
bella
del mondo
questa è
l’unica
cosa
bella
al mondo
tutto il
resto
sono stronzate
imposte
dai capi
io
capisco finalmente
tutto
adesso
divento maturo
volando
sul letto
riaprendo
gl’occhi
per
sfondare
il soffitto
imparando
che
la fiamma
va creata
e
non cercata
vedo
le stelle
e
le stelle
mi vedono
…
con
la destra
scrivo
mentre
con
la sinistra
mi amo
FIAMMA ARDE
Fiamma arde
perché io ne ho bisogno
sto camminando curvo
da troppo tempo
su sentieri lacrima
dove poveri dispersi
scoprirono le loro carte
Fiamma arde
perché voglio luce
in fondo alla mia anima
che
rabbuiata soffre all’ombra
della solitudine dei sogni
Fiamma arde
perché è tempo di bruciare
tutto quello che è stato
tutto il tempo buttato
bruciare una storia vecchia
e raccoglierne le ceneri
per inventarne una nuova
Fiamma arde
perché è l’unica soluzione
a chi più non sopporta
lo scorrere vuoto
delle lunghe ore tristi
di cui è fatto il mondo
e quindi
Fiamma ardi
Devi ardere
per tutti quelli che non vivono più
ma hanno bisogno di vita
Devi ardere
perché quest’anno
non può esserci primavera
senza di te
Devi ardere
per soccorrere
chi cerca calore
ma ha perduto le coperte
Devi ardere
perché sei la redenzione
che qualche uomo cerca
disperato nel vento
delle vecchie stazioni di notte
Devi ardere
perché IO sono quell’uomo
in cerca di redenzione
dagli sbagli del passato
che generarono il male
che mi affossa il cuore
e allora
Ardi
Ardi
Ardi
Ardi
Ardi
Ardi
Oh grande potente Fiamma
Divampa
Divampa
Divampa
Incendia il mio corpo
e rendilo puro
e
la guancia
sinistra
ed
era bellissima
-la chiamavano
così
perché aveva
fatto
per nove anni
l’amore con un tale
sposato e
in esilio-
niente stelle
la luna
era mezza
la strada
di terra
un poco
infangata,
piovigginava
appena
e la nebbia
scendeva
-soffrivo tanto-
ci mettemmo
in cammino,
le mie
scarpe bianche
diventeranno nere
prima di
raggiungere
il paese
che comunque
già
s’intravedeva
a fondo valle.
Calipso
inciampò
e il mio
compagno
la prese
al volo,
le guardai
le tette
mentre si
ricomponeva
-non devo
vedere
certe cose
non ce la
faccio-
“avanti gente
ch’è ancora
lunga...”
qualche
altro metro
e
si fece
la notte,
guardavo
i campi
le montagne
sullo sfondo
-pensai-
un giorno
sarò là
ma
a volte
di notte
mi svegliavo
e
il fiato
mi mancava.
Il mio
compagno
si fece scuro
s’avvicinò
“non ti
dirò
mai più
FOTTITI …”
mi disse
ma
era ovvio
che ormai
c’ero dentro
fin’al collo …
scrollai
il capo
“forse
Calipso
non ce la
fa più
stalle
accanto”
risposi secco
e lui tornò
al suo fianco,
lei ora
zoppicava
io
non potevo
più
guardarla
era
bambina
a
Borgo Tuliero
e così
voglio
ricordarla
-EEEEEEK-
uno strillo
di poiana
volava sopra
la mia testa,
sono abituato
alle cose
che volano
dentro
alla mia testa
non sopra
ma
prima o poi
finiranno
finirà tutto,
Michael
ha comprato
una carabina
per difendersi
dalla
gente impazzita
quando
la rivolta
scoppierà
e
andremo su
al
Rifugio dell’Anima
insieme a
Pelle di Lupo
vegliati dal sacro
spirito di falco
Moral
ed io
avrò un
revolver
e difenderemo
a ferro e fuoco
il nostro
fortino
… però adesso
è ancora
presto …
ci fermammo
un’oretta
circa
perché a
Calipso
sanguinavano
i piedi,
il mio
compagno
con un
fazzoletto
glieli
asciugava
ma
non bastavano
non bastano
mai
e lei
si tenne
i suoi
pied’insanguinati
“se ti
bruciano
soffiaci sopra”
il rancore
insensato
che leggeva
nei miei
occhi
la scoraggiò
ma
non glielo
spiegai mai
non
avrebbe
capito
nessuno
può capire.
Quando ci
alzammo
non
ci fermammo
più
finché non
giungemmo
in paese
e
il paese
non
sembrava proprio
aspettarci
con
le sue
finestre sbarrate
luci spente
e
l’aria
di cose morte
ma
trovammo
lo stesso
una camera
ad
un ostello
e
comprai
due bottiglie
da uno
di birra
e
buttato là
sul
pavimento
me le
scolai
mentre
sul letto
il mio
compagno
curava
le ferite
di
Calipso
nel modo
che
cura
ogni male
e
quel dannato
d’un letto
gniccava
e lui
ansava
ma
Calipso
non aprì
bocca
-evidentemente
l’aveva già
aperta
troppe volte-
comunque
m’addormentai
scolando
birra
sul pavimento
...
anche
adesso
m’addormento
scolando
birra
sul pavimento
mentre
sramasso
qua
le ultime
boiate,
oggi
è stata
una pessima
giornata
cominciata
in blu
col Jazz
di Davis
alle sei
del mattino
rincasando
da
un ingrosso
di paste
che
i commessi
ti danno
colle mani
lorde
e
sudate
-penso-
il tempo
di cambiare
l’ho avuto
ma
stava agl’altri
farmene
render conto
e
Calipso
è morta
per quanto
mi riguarda …
una pessima
giornata
cominciata
in blu
col Jazz
di Davis
non può
che finire
col Jazz
di
Gianluigi Valgimigli
-onesto-
MORO LO SAPEVA
mi sbattevo
ad una festa
strusciand’il pacco
contr’il culo
d’una qualche tipa
ma
non che fossi
troppo felice,
ci vedevo
abbastanza quadruplo
e siccome
mi colse
la nausea
scarabattlai di là
in cucina
(la tipetta si voltò
non mi vide più
e su un altro pacco
si consolò)
è di là
in cucina
che c’era la festa!
tutti deliranti
sbavando sul tavolo
bianchi
bianco anch’io
eravamo soltanto
un mucchio
di cadaveri,
voltandomi
sul lavandino
lo riempii
di vomito
e mi pare
mi tirai
giù i calzoni
e pisciai
sul pavimento
o
forse confondo
e fu il mio
vicino
a pisciare
comunque
qualcuno pisciò
perché la
stanza si
riempì di
puzzo d’urina
d’urina alcolica –
e mi misi
a ridere
mentre
una discreta gnocca
sulla porta
mi chiese
le credenziali
“ mon amùr
vieni a
sdraiarti
sul divano
con me
e ti preparerò
al futuro”
gli dissi
e quella
mi seguì
tutta contenta
(fighetta furbetta
dall’alito spermico
quanti lavori di bocca
hai fatto
ai chierichetti
di S. Battista
prima d’esser
qui
sta sera)
e poi
là così
sul divano
abbracciati
gli stringevo
una tetta
nella destra
e una lattina
birra strana –
nella sinistra
ma ancora
pensavo a me stesso,
mi sembra
tutto così assurdo
ricordando
qualche anno fa
tutto quello che
c’è stato
e
mi ha ridotto
così
sì ma
io non ero quello
no
io sono questo
sono un
cadavere tra cadaveri
nelle feste
all’urina alcolica
e
all’alito spermico
e
alle mani sulle tette
(come la sua
gonfia
di voglia)
io
ora
ripenso a tutto
e rido …
Moro lo sapeva
quando
ha detto
ch’è
difficile
dedicare
una vita
al lavoro
nelle aziende agricole
nei campi
e le banche
che fottono
sotto di
quattromila euro-
e
la crisi
dell’italia
in crisi
ormai
è un
luogo comune
e ho fatto
un figlio
nei tempi
di crisi
nato in
un’ italia
di crisi
e quindi
mi rintano
qua
tra una birra
strana
e una tetta
gonfia
che mi
arroventa la
mano
e mi
stimola
il pacco …
qualche troia
s’è tolta la
maglia
per mostrare
il seno
e
sentirsi
importante
e tutti
ballano e sudano,
anch’io
mostro
il seno
alle troie
ai cadaveri
all’italia in crisi
alla birra
al vomito del lavandino
all’urina in cucina
e
alla fighetta furbetta
che ha
ridato la vita
al mio bassoventre
depresso,
più tardi
su in camera
le darò
ciò che
vuole .
Tutto è perfetto
Tutto è perfetto
nel dolore
e
negli errori
e
in ciò che
ho perso,
Moro lo sapeva
e penso
d’esser il primo
che
l’ha scritto
in una
poesia
AUTORADIO BLUES
Avevo una vecchia autoradio
Avevo una vecchia autoradio
mi cantava il blues
da mattina a sera
Era un sorpassato modello a cassetta
Era un sorpassato modello a cassetta
ma giuro, tesoro
era tutto quello di cui avevo bisogno
L’inverno ghiacciava i miei finestrini
ho detto
L’inverno mi ghiacciava i finestrini
e mi arricciava il cofano
ma, perdio, non sentivo freddo
grazie alla mia vecchia autoradio
Mi svegliavo alla mattina
e il suo canto mi scaldava
giuro che
Mi svegliavo di mattino
e il suo canto mi riscaldava
canticchiavo quelle note
e mi sentivo soddisfatto
ripeto
canticchiavo le sue note
ed ero così soddisfatto
Ma un giorno la mia vecchia autoradio
smise di cantarmi il blues
sì,
La mia amata vecchia autoradio
smise di suonarmi il blues
e sospirai, ok, i tuoi giorni
son finiti
ti farò un funerale a ritmo di Jazz
Scavai una buca per la mia
vecchia autoradio
sì, ho detto che
Scavai una buca per quella mia
vecchia autoradio
ve la calai con una
catena dorata
cosicché la gente possa dire
quella era l’autoradio di un ricco
l’autoradio di un uomo ricco
E adesso l’inverno
mi ha crepato il finestrino
Oh dio,
L’inverno mi ha
accartocciato il cofano
sono una vecchia automobile
che non sa più cantare
ADRIATICO
Stanotte,
che malinconia
brucia il ricordo
del tempo andato
piange un’amica
il triste amore perduto
bagnando le pagine
di un vecchio diario
l’adriatico
steso sulle
mie coperte
fuori dalla finestra
-…la ricordo
aperta…-
veniva il profumo
del mare
e la musica
dei concerti
lungo la strada
mamma dormiva
nonna russava
peggio del cane
io ero violento
e giù in spiaggia
picchiavo la gente
laaa dooo-me-ni-caaa
lungo la riva
lungo la riva
coi piedi
affondati nella sabbia
cambiata in fango
coi tuoi
piedi
sul letto
camicetta rosa
faccia di bimba
(vedi?, io non ho scordato!)
faccia da schiaffi
“solo a volte, però…”
là!,
è là che
mi cacciarono via
dalla sala giochi
volevo solo
cavalcare
volevo che
le luci
m’avvolgessero tutto
perché già
mi sentivo
protagonista del mio
stupido romanzo…
Lorenzo
non cantare
sotto alla doccia
e stai attento
cerca sempre
qualcuno con cui
dormire
perché oltre il
vetro
è scuro
-più scuro di qui!-
e qualche bestia
in agguato
ci sta sempre
---
Sento solo
adesso
l’orologio che
ticchetta
mi nascondo
la faccia
mi cancello
le gambe
tuttettre
mi piacerebbe
tanto
un giorno
rivedere l’adriatico
ma ho
paura di piangere
piangere
piang…
ultimamente
piango
troppo.
FRANCESCA
Francesca,
il nostro bellissimo
sogno d’amore
iniziato per la
corda d’una
chitarra
spezzata
fuori nel vicolo
di fronte all’albergo
Cesenatico
ragazzi di colore
suonavano
in strada
io suonavo
con loro
avevo la barba
lunga
e il cappotto
non riusciva a
coprirmi
dalla fredda
brezza che dal
mare viene
quando scende
la notte
la prima volta
c’incontrammo così
scendevi le scale
due alla volta
e pareva proprio
che tutti
suonavamo per te
cosa importa
se già un
uomo ti
scaldava i piedi
sotto alle
coperte
della stanza
trentaquattro
eri così bella
che solo lui
non poteva
bastare
passandomi
di fianco
la mia chitarra
perse il Si
“OOOOOOohhhh, non sarò stata io, di grazia?”
“Mia bella signorina, non ne abbiamo sicurezza, ma è certo che lei è
bella
e potrebbe in questo modo, aver scioccato la chitarra, comunque sia
o
non sia, mi inviti fuori a cena e scorderemo l’accaduto!”
E iniziammo
a camminare
per le vie
che vanno
al mare
e al pomeriggio
ti amavo
ferocemente dentro
te
il mio orgasmo
filava liscio
il tuo
bagnava le coperte
della stanza
trentaquattro
un secondo
al bagno
per lavarsi
e via via
giù in spiaggia
a fare
i pazzi
peggio
dei pazzi
mi aggrappavo
a te
ti infilavo
una mano
sotto alla
maglietta nero
lucido che
sempre portavi
e ti palpavo
il seno destro
e tu
ridevi e
chiedevi un
bacio
un bacio
con tutta
la lingua
“Ed io, mia cara, che pensavo, siccome tu già di un altro eri e
soprattutto più grande d’undici anni, che mai e poi mai
avresti prestato nota a un barbone quale io sono!”
“E tu, mio caro, pensavi molto male, siccome io già t’amo e voglio
farti d’amante, d’amica, da sorella e da madre!”
e fammi da
tutto questo
-sporco mondo!-
fammi pure
tuo del
tutto
perché già
da troppo tempo
ormai
io non sono
più di
nessuno
e ho perso
la mia voce
ma tu
me la puoi
ridare
amanteamicasorellamadre
tu puoi!
e continuammo
e passò una
settimana
e io
ti amavo troppo
avevamo il
progetto di
volare in
deltaplano
lungo tutta
la costa
fare in cielo
ciò che in
terra
toglieva troppo
tempo al
nostro amore
ma mai
saremmo riusciti
perché tutto
finì
una domenica
sera
al tuo albergo
cena di lusso
con minestra
di pesce e
alghe
al ristorante
c’era pure
quella stupida
mia ex
che
abbracciata a
suo padre
moriva verde
d’invidia
a vederci
così uniti
“Vedi, caro, in un piattone ti portano due tipi di minestra mischiati
e ciò mi fa incacchiare non poco, ce né un tipo verde con alghe e
un tipo rossa, con peperoncino e gamberi, ecco, quella rossa mi fa
prudere tutta, qua sotto, se anche solo la sfioro con la punta della
mia rosea lingua, perciò son costretta a dividere il tutto,
minuziosamente, ogni volta, eccheccaspio!”
io
al contrario
ci davo dentro
in quella rossa
quando
d’improvviso
m’accorsi
-sarà forse stato il peperoncino? Mboh…chissà…-
che tutto
era finto
che il ristorante
era finto
che la gente
era finta
che la mia ex
era finta
che la minestra
era finta
e
che tu
-che dolore, il mio cuore!!!-
che tu
eri
finta
era stata solo
l’ennesima
presa in giro
l’ennesimo scherzo
del telefono
che suona
e quando
alzi la
cornetta
risponde sempre
e solo
una voce
registrata
non potevo
sopportarlo
non un’altra
volta
e
mi alzai
di scatto
in piedi
e corsi via
velocemente
contro il vetro
del ristorante
rompendo
il vetro
del ristorante
che
tanto era
finto
e presi il
largo
via via via
verso il
mare
-la tua voce finta cercava di fermarmi, alle mie spalle, ma già non
badavo
più alla trappola dannata-
verso il
mare
e
verso l’oblio
che ci
conforta
quando la vita
ci ha segnati
e ridendo
ha deciso
che
siamo i
suoi
giullari
BAMBINA INDEMONIATA
Vivo con una bambina indemoniata
non ci sono crocefissi in casa
Vivo con una bambina indemoniata
vietati i crocefissi in casa
tutte le volte che m’inginocchio dice
nessun dio ti potrà salvare
Sono stato posseduto
dal demone del suo amore
Sono stato posseduto
Ooooooooooooooh yeah
dal maledetto demone del suo amore
non c’è esorcismo che conti
io sono nato per star male
Quando mi prendi
Oh bambina
io mi infiammo tutto
Oh yeah
Quando alla sera a letto mi prendi
piglio fuoco dappertutto
non posso far altro che morire arso
nell’inferno del tuo bassoventre
Permettimi di
prostrarmi ai tuoi piedi
sì,
permettimi di
accucciarmi ai tuoi piedi
e lucidarti le nere scarpe
mentre mi picchi a sangue
col tuo forcone dorato
mi scavi la schiena
col tuo forcone dorato
Uccidimi annullami
ti ho venduto l’anima
fanne ciò che vuoi
sono il tuo schiavo
sono un verme dannato
Oh figlia del demonio
portami con te
nelle cupe lande
dell’entroterra
HAIKU BLUES
e d’aprile
la pioggia
sta cadendo
da due giorni
e non
si ferma
io fermo
non cerco
più
di scoprire
le tue
menzogne
cerco
qualcosa di meglio
ma la pioggia
beh
la pioggia
non si ferma
le donne
di cui avresti
bisogno
son sempre
d’altri
ma a questo
probabilmente
ci si era
già arrivati
da tempo
sputo giù
pensieri mitraglietta
quando
il tavolo
scricchiola
io Babbo
sbatto le mani
Mario
sbatte le mani
le sue
si perdono
nelle mie
comunque
mia madre
per ora
spazza
i miei sbagli
sott’al divano
ma la scopa
si spezzerà
sera nostalgica
questa
dalle tv
cantano
la morte dei miti
e
io canto
sapendo
che mi
resta
ancor tempo
ma
quelle donne
oh sì
quelle donne
che
son sempre
d’altri
se t’avessi
una sera
ringrazierei
la terra
delle tue scarpe
guardandoti
rivedrei
notti estive
dei nascondini nella
via
al lume
dei lampioni
toccandoti
risentirei
profumo d’acqua
degli stagni
tra le siepi
d’un afoso crepuscolo
da gracidio
di rana
baciandoti
riassaporerei
biciclette parcheggiate
nei vigneti rosa
sul sentiero
che porta
alla nostr’adolescenza
mmmmmmhoooooooooh
sto impazzendo
ormai
e questo
ne è
il frutto
ma tanto
vincono sempre
i soliti
fiorellini
di campo
tanto
le uscite
di febbraio
sono finite
da un pezzo
i
rendez-vous
magici
dell’ora di punta
sotto il mio
maglione
non ce né
più segno
e
i segni
di adesso
mi fanno
stancare
senza appagarmi
mi sono
specchiato
e
la barba
era fatta
le ciglia
pure
il naso
sempre al suo
posto
le orecchie
non ancora
impiastricciate
di cervello
e quindi
che fare
ora
sì
che cosa
fare
oltre ad
ascoltare
la
noia depressa
dei
miei pensieri
piangere
un po’
in camera
-dei miei-
fazzoletti
alla mano
farà
passare
la prossima
ora
hah hah hah
ndooooooooooooo
beh
ho preso
lo zaino
sì
ho preso
il mio
vecchio zaino
e
sono uscito
di casa
I got ramblin’
Yeah
I got ramblin’
on
my mind
Yeah
cantavo
e
raggiunta
la fine
del paese
dissi
“bambina,
ho
scelto
la strada”
avevo sempre
desiderato
dirlo
I MIEI GIORNI DI GUERRA
Ho strisciato
nel
fango
delle trincee
ogni sasso
era
coperto di
sangue fresco
sopra la
mia testa
volava piombo
dentro alla
mia testa
cercavo
un senso
quando alla
notte tutto
s’acquietava
era lì
che cascavi
all’inferno
i pensieri
le grida
il tuo
compagno
accanto
che fuma
e ti
ripete
è soltanto
un passaggio
un giorno
anche noi
vedremo
il cielo
è solo
un passaggio
ma più
lo ripeteva
più ero
certo
che non
sarei
voluto
andare avanti
-
Nei momenti
di congedo
giù
ai bordelli
sacri
nel cuore
di una
città distrutta
le puttane
sifilitiche
mi facevano
l’occhiolino
e aprivano
le gambe
mi stava
venendo
la nausea
d’amare
leggevo
le memorie
dei grandi
patrioti
e cercavo
una risposta
ma
non sono
un eroe
e
odio
la mia
patria
e
non ci
sono
bellissime
infermiere
bionde
qui
solo la
tosse e
la puzza
di un
branco
di disilluse
battone
-
Mi
avevano
detto
è l’onore
mi
avevano
detto
tutte quelle
inutili
cose che
gasano i
giovani
vai
sei un
guerriero
combatti
avrai oro
e medaglie
ma
io non
sono
un guerriero
ho sempre
buttato
all’aria
tutto
al primo
ostacolo
e
questi
giorni
maledetti
questa
assurda
agonia
mi pesa
sulle spalle
e faccio
fatica
ad alzarmi
il cuoco
dice
il mio
rancio
è il
migliore
in tutto
l’esercito
un bravo
soldato
mangia
un bravo
soldato
pensa alla
salute
loro
non sanno
cosa
significhi
alzarsi al
mattino
e vomitare
anche l’anima
ma poi
qua non
abbiamo
più un’
anima
qua
arranchiamo
come
marionette
con la
promessa
della gloria
futura
e delle
belle gambe
delle
donne di
classe
-
Andiamo
adesso
fucili alla
mano
verso le
loro illusioni
che mie
non son
mai state
andiamo
siamo
costretti ad
andare
siamo
costretti a
lottare
per non
farci
annientare
dal più
forte
è questo
il senso
della vita
e quando
lo capisci
ecco
che vorresti
farti
schiacciare
avevo
una donna
a casa
ma
probabilmente
adesso
non c’è
più
in tenda
di notte
senti
piangere
chi stringe
il cuscino
e vorrebbe
fosse
il calore
della moglie
o
della ragazza
o
dell’amante
e
quei cuscini
al mattino
sono secchi
dello sfogo
dei
loro sessi
in triste
erezione
ma
non è
altro
che un
ennesimo
modo di
piangere
e
quindi
andiamo
marionette mie
andiamo
abbandoniamoci
a questi
fili
loro ci
condurranno
alla gloria
eterna
la vita
è
una guerra?
e
allora
lottiamo
finché non
saremo
un cazzo
di nome
su un
pilastro
alla memoria
in un
cimitero
fasullo
IL BLUES DEI LETTI DISFATTI
Sono qui
nudo
sopra a te
senza di te,
bambina
sei uno strano tipo di donna
che pretende amore e attenzione
senza dare in cambio passione,
cerco disperatamente
un segno che mi dica
che sei viva
mentre soppeso le
note stonate
di questo blues che
cigolano dalle molle
di un letto disfatto troppe volte
che già è arrivato
alla fine dei suoi giorni,
tu già sei arrivata
alla fine dei tuoi giorni
con amore diventato voglia
voglia diventata obbligo
e obbligo diventato assenza
tu sei assente e sorda
ai miei lamenti,
abbiamo aperto insieme le porte
di questa prigione
ma solo tu avevi la chiave
per uscire
ed ora
l’hai gettata via
e m’hai lasciato solo
questo blues dei letti disfatti
NOTTURNO ANDANTE
Scuoti le chiappe
Scuoti le chiappe
il gestore della discoteca
è uno che scende a patti
con le ragazzine
riempimi il bicchiere
che sta sera mi scaio
voglio stare un’altra ora
appoggiato al banco
a immaginare nude
le cubiste
tanto a casa
solo il muro m’aspetta
ed è già troppa compagnia!
i truzzetti si
lanciano in pista
jeans calati
un rimorchio sicuro
“ehi bambina,
vieni a vedere di
che marca sono le
mie mutande!”
“tesoro, tesoro
imboschiamoci al cesso
stasera a cena
ho mangiato poco”
calore al chiar di luna
per chi uscì dalla stalla
accendi la lampada
e fammi leccare dal cane,
uniamoci al ritmo
del notturno andante!!!
Qui nella zona industriale
è una giungla di bordelli
le signore si perdono
nel buio che fa sera
se le trovi
non lasciano scampo
volevo uscire per
prendere una pasta
son rientrato
con lo scolo
è difficile rimanere puliti
tra i fumi delle industrie
il massimo del divertimento
è però quando ti sorprendono
adesso giro a gambe larghe
e perdo sangue dal culo,
fatico un po’ a tener il ritmo
del notturno andante!!!
Clarissa
nordica biondina dagl’occhi di ghiaccio
nasconde la roba
nel cruscotto dell’auto
lascia sempre qualcosina
per gli amici
è una donna di buon cuore
in estate
si stende nuda
sotto al ponte delle grazie
vicino al fiume
qualche zanzarone barbuto
si ferma sempre
a punzecchiarla
solo una volta
ha lasciato il segno
ma con una pomata
il dottore l’ha guarita
con le mani fa lavori
come nessun’altra sa
rolla da dio i cannoni
soprattutto i tuoi
e spesso ha camminato
anche in mezzo a canneti,
cavalcando con onore
al ritmo del notturno andante!!!
Son le cinque di mattina
fra poco inizieranno
a cantare gl’uccelli
il mio purtroppo
è qualche mese che non canta
ma sono fiducioso
delle donne d’oggi
dopo il decimo bicchiere
è normale il mal di testa
e forse lo è anche
quell’ombra che ride nel salotto,
al piano di sopra
le molle del letto
hanno smesso da due ore
di cantare
se non mi fossi
messo a bere
a quest’ora dormirei
ma io sono pazzo
e mi diverto così,
ombra che ridi nel salotto
vieni più vicina
voglio darti il volto
della donna che ho amato!
…adesso sono stanco
e sudo tutto
getto via la penna
stoppo il disco,
anche per stasera
ho finito di ballare
il mio notturno andante!!!
PIANTO DI VENERDI’
Ti prendevo il viso tra le mani
e te lo accarezzavo
quando mi guardavi con quegl’occhi sperduti
reclinando un po’ il capo
eri così carina
che avrei potuto mangiarti
eri la mia bambina
un cucciolo da accudire
e non avevo capito niente
mi sono innamorato di te
quando tu ormai non lo eri più
in fondo sono felice
se stai ricostruendo
quella parte che ti ho ucciso
più o meno tre anni fa
io sto morendo adesso
piano piano lento lento
giorno dopo giorno
ora ho capito tutto
ho realizzato
che la mia continua ricerca del male
non porta ad essere
artisti migliori
ma porta solo a naufragare
in quel male
è veramente una colossale fregatura
non sono un poeta più valido
sono semplicemente un poeta
che ti ha perso
e sembra sul serio ieri
che ti stringevo nuda
al mio fianco
su quel grande letto
che ora ho tolto
e ti facevo il solletico
e tu ridevi felice
e mi chiamavi amore
e mi amavi, sì!,
lo so che mi amavi
e dicevi che ero
l’uomo della tua vita
la persona più importante
della tua vita
vivevi per me
solo per me
ed io ti ho persa
persa per sempre
e allora
venite su dalla tomba
vi prego
a prendermi
venite a portarmi via con voi
venite per favore questa notte stessa
mi sono stufato
venite a prendermi
venite
venite
venite
venite
venite
venite
venite
venite
venite
UOMINI COSTRETTI A PERDONARE
Ci sono uomini
costretti a perdonare
perché l’inferno
è meglio
viverlo in compagnia,
Ci sono uomini
costretti a perdonare
perché la vita
è inganno
e non speranza,
chiusi
uccisi
bestie maledette
nient’altro che bestie
carne per barbecue
al sabato sera!
Ci sono uomini
costretti a perdonare
perché l’inverno
in città
gela i laghetti nei parchi
e le anatre muoiono
ignorando il cielo,
Ci sono uomini
costretti a perdonare
perché ci sarà sempre
una stanza
da cui ricavare
la perfezione di un muro bianco,
accartocciati
buttati
fazzoletti sporchi
nient’altro che fazzoletti
per l’orgasmo
dell’uomo della porta accanto!
Ci sono uomini
costretti a perdonare
perché l’hanno già fatto
e hanno capito
che se parti
lo fai solo per tornare,
Ci sono uomini
costretti a perdonare
perché si guardano attorno
e
il popolo è un fantasma
la città un cimitero
i violini beccano le autostrade,
Noi siamo gli uomini
costretti a perdonare
piangete un po’ per noi
ma prima siate certi
d’aver pianto per voi stessi!
SNIFF! SNIFF!
Abbaglianti alla finestra
latrati nel vicolo
la serenata d’un barbone
vortica la stanza
stesa nuda sul letto
m’inviti a un altro giro
vomito sul pavimento
le tue gambe senza fine
sei la donna che
risorse dal fango
per purificare l’utero
alla fonte;
Sniff!Sniff!
ne prendo un po’!
Sniff!Sniff!
un altro po’!
Questa stanza calda
ricorda l’abbraccio di
mia madre
seguo la pista
dal tuo seno all’ombelico
nascondo il volto
nei tuoi biondi capelli
un tempo una dolce
casalinga
m’offriva riparo
ma adesso è morta
dischiudi le cosce
disegnerò una scia
fino ai tuoi piedi;
Sniff!Sniff!
ne prendo un po’!
Sniff!Sniff!
un altro po’!
La finestra è la bocca
di una bestia
che scandisce il Sacro Verbo
le pareti colano
di malinconico blu
forse stiamo morendo
o stiamo imparando a vivere
tu sei la mia vergine
che in cima al colle
aspetta, dormendo …
Sniff!Sniff!
ne prendo un po’!
Sniff!Sniff!
un altro po’!
UN UOMO CHE HA PREGATO POCO
Sono un uomo che ha pregato poco
e tu sei una donna che ha pregato troppo
sempre inginocchiata davanti
a qualche povero cristo ,
eressi il mio sacro altare
sciupando anni di
supposizioni e tormento
solo per scoprire
di avere sciupato altro tempo
inseguendo con lo sguardo
l’ultima nebbia spazzare via
l’inverno
e sui campi e attorno
era solo l’ingenuità
che mi avrebbe ucciso ,
noi erigemmo il nostro sacro altare
per celebrare una messa nera
per celebrare una messa nera
e venne tuo cugino
ti lasciasti ai suoi voleri
nuda leccandogli i piedi
era il tipo ganzo
che non lascia scampo
era l’uomo giusto
per la tua famiglia
li capiva quando parlavano
e spingesti in fuori il culo
e recitando il rosario al contrario
lo ascoltasti
piegata e piagata
sussurrare alle tenebre
“signore dorato
dei paradisi abissali
sia fatta la tua
volontà!”
e fece volontà
gettando i fioretti pasquali
nel cortile dietro casa
tra l’erba divorata
da larve di mosche ,
e il tempo passava
incalzando sulla mia cecità
giocavo a fare l’uomo rude di casa
mentre tu giocavi
a fare la puttana
giocavi a fare la puttana
ho capito troppo tardi
il perchè della tua assenza
ed ora alla fine di tutto
perchè tutto è finito
ho distrutto per sempre l’altare
ti ho ingiuriata un poco
e mi sono chiuso in camera
a raccogliere i frutti
di questi tre anni sprecati
VIOLENZA SUL SEDILE POSTERIORE
e le lacrime
cadranno amare
sulle pagine
sghembe
di questa
poesia di dolore
…
!!!
AAAAAAAAAAAAAAh
!!!
questa volta
te le strappa
le mutande,
vedrà
quella macchia
puzzolente
di chi
ha lasciato
andare
il corso
dei suoi eventi
SI’,
e sarà là
là dietro
a quel sedile posteriore
che compirà
la sua
violen-za-za-za-za
la sua
violen-zu-ppa-ppa-zu-n-ppa-ppa
all’incirca
trentaquattr’oc’cinque
anni
padre antico
di una
famiglia morta giovane
sarai bellissima
colle gambe aperte
muco da parto
e
con la
coda degl’occhi
i passanti
diranno
“fu stupenda
la rappresentazione
di quella
Maria impalata”
la sua
santa testa
-ricorderai
in
seguito
…-
pareva avesse
l’aureola
tant’era incantata,
il
pennone
maestrale
grosso
pieno di peli
glielo sbatteva
sulla
guancia destra
a colazione
e
sulla sinistra
durante
lo spuntino di mezzanotte
sul divano
là
come
in
una
tomba
dorata …
parevano
quei grandi
santi maestri
morti
per la patria
con le
mani
le sue
di lei
mani
che graffiavano
la pelle
producendo
un gnikki gnikki
fastidioso
nelle sue labbra
le carnose
divorate da rossetto
la lingua
di lui
le nutre
saporito
di
sapore
ai frutti di bosco
gliele mangiava
gliele pappava
fino a
fargliele sanguinare
e
non riesco
proprio a capire
ancora
non posso capire
finestrini appannati
sobbalzi meccanici
scoppi gassosi
tubo di scappamento
“OOOOOOh sìììììììììì
eh eh eh
è proprio grosso
come il
tubo di scappamento
eh eh eh…”
annusa
la macchia
delle tue mutande
lecca
la macchia
delle tue mutande
i tuoi
piedi poggiati
sui
sedili davanti
uno
per sedile
lui ti sbatte
perché
adora le tette grosse
gli piace
strizzarle
e
sucarle
(suzioni del porco nel vicolo lordo,
era pressappoco l’una del mattino)
la tua faccia
era migliore
di quella
di tante altre…
-
…la pioggia
poi li trovò
dopo che
tutto
ebbe fine
addormentati
e
abbracciati
innamorati
per noia
ma
pur sempre
innamorati
picchiettando
sui vetri
che
già sbollivano
parcheggiati
nel
parcheggio
centro-maternità
Faenza
e
davvero
lei era
Maria
e lui
a quanto pare
un santo
dall’aureola fatata
STANOTTE VIVO
Oh sì,
il sesso!
il calore
dei corpi
nudi
che si
strusciano
sul letto
voglia di
fare
sesso
con
tutti
tutti i
corpi sono
uguali
sono caldi
sono morbidi
la carne
sotto di
te
mordo la
tua carne
il tuo
naso
percorre
le vene
del mio
collo
siamo biondi
siamo biondi
abbiamo
i capelli
lunghi
e siamo
biondi
e
scivolano
sui tuoi
fianchi
le mie
mani
mentre
mi
stritoli
sul
tuo petto
questa notte
non ho
voglia di
morire
se non
sarai tu
ad
uccidermi
godendo
godere
dischiudo le
labbra
guardando il
soffitto
chiudendo
gl’occhi
al passare
della tua
lingua
sulla mia
guancia
sinistra
leccami tutto
d’appertutto
voglio bagnarmi
bagnami tutto
sono una
puttana
dagl’occhi
verdi e
grandi grandi
passa il
dito
sul mio
capezzolo
infila il
dito
nella mia
bocca
voglio succhiartelo
tutto
stringimi
i seni
stringimi
i seni
stringimeli!
e poi
permettimi di
farti capire
che
non sono
un uomo
finito
lasciandoti
amare
come mai
prima d’ora
io lo
so che
ho
ancora
qualcosa da
dare
e voglio
dartelo
tutto
amore
amore mio
l’amore
è
caldo
è
tanto caldo
stretti stretti
sempre
più stretti
stringiamoci
uniti
tanto da
scomparire
l’uno dentro
l’altro
ooooooooooooooooooooooooooh
voglio sentire
il tuo
orgasmo
tutto in
faccia
voglio
bruciarmi
la faccia
col tuo
orgasmo
questa è
la
cosa più
bella
del mondo
questa è
l’unica
cosa
bella
al mondo
tutto il
resto
sono stronzate
imposte
dai capi
io
capisco finalmente
tutto
adesso
divento maturo
volando
sul letto
riaprendo
gl’occhi
per
sfondare
il soffitto
imparando
che
la fiamma
va creata
e
non cercata
vedo
le stelle
e
le stelle
mi vedono
…
con
la destra
scrivo
mentre
con
la sinistra
mi amo
FIAMMA ARDE
Fiamma arde
perché io ne ho bisogno
sto camminando curvo
da troppo tempo
su sentieri lacrima
dove poveri dispersi
scoprirono le loro carte
Fiamma arde
perché voglio luce
in fondo alla mia anima
che
rabbuiata soffre all’ombra
della solitudine dei sogni
Fiamma arde
perché è tempo di bruciare
tutto quello che è stato
tutto il tempo buttato
bruciare una storia vecchia
e raccoglierne le ceneri
per inventarne una nuova
Fiamma arde
perché è l’unica soluzione
a chi più non sopporta
lo scorrere vuoto
delle lunghe ore tristi
di cui è fatto il mondo
e quindi
Fiamma ardi
Devi ardere
per tutti quelli che non vivono più
ma hanno bisogno di vita
Devi ardere
perché quest’anno
non può esserci primavera
senza di te
Devi ardere
per soccorrere
chi cerca calore
ma ha perduto le coperte
Devi ardere
perché sei la redenzione
che qualche uomo cerca
disperato nel vento
delle vecchie stazioni di notte
Devi ardere
perché IO sono quell’uomo
in cerca di redenzione
dagli sbagli del passato
che generarono il male
che mi affossa il cuore
e allora
Ardi
Ardi
Ardi
Ardi
Ardi
Ardi
Oh grande potente Fiamma
Divampa
Divampa
Divampa
Incendia il mio corpo
e rendilo puro
FUMETTI di Gianluigi Valgimigli
La prima volta che... (testo e disegni di Gianluigi Valgimigli)
La birrata (testo e disegni di Gianluigi Valgimigli)
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