domenica 5 gennaio 2025

I MIEI RACCONTI - Gli esperti enologi (2013)

  


 


GIANLUIGI VALGIMIGLI 

 GLI ESPERTI ENOLOGI

-Racconto originariamente pubblicato nella raccolta “Ravenna Ridens” (Claudio Nanni Editore; 2013)-

GLI ESPERTI ENOLOGI

Avevo dieci anni all’epoca, porca miseria, mi sembra ieri ...
Giravo per la cara vecchia Borgo Tuliero, il mio paese natale, minuscola frazione di Faenza.
Giravo e giravo, per le vie, il parchetto, i campi, le case, sempre così, tutti i giorni, d’estate, assieme a un gruppetto d’amici ... i bambini della via, ci chiamavano ...
Spendevamo le nostre giornate, tra gare in bicicletta, infinite partite a nascondino, due o tre calci a un pallone, sotto al sole caldo del periodo più bello dell’anno ... più bello, sì, come solo l’estate può esserlo per un gruppo di bambini, costretti ad alzarsi, nove mesi all’anno, ogni santo dì, alle sette del mattino, per andare a farsene due un po’ grosse, sul banco di una scuola pubblica. C’erano i fratelli Villa, Matteo e Marco, rispettivamente di nove e otto anni, c’era Renzo, le sorelle Silvia e Estel, tutti sui nove , ed infine il più piccolo del gruppo, Cristiano, anni sei e un po’ ... Ovviamente io, essendo il più grande, mi atteggiavo a capetto del branco, e siccome ero pure un discreto discolaccio, esauriti i giochi di rito, me ne inventavo una dietro l’altra, per combinare casini a destra e a manca. I miei piccoli sgherri, mi seguivano fedelmente, giù, lungo i vicoli, immersi nel fumo che dall’asfalto rovente, si levava nell’aria, impestandola e poi su, tra l’erba e le ortiche delle collinette che circondavano il paesello, acquattati come bestie, in mezzo ai campi di grano o tra i filari di barba di frate, attendendo il passaggio del contadino di turno e poi ... !!!BBBUUUAAARGGHHH!!! ... saltar su e spaventarlo, il povero cristo!
Poi quella volta delle miss, oooooh!, quando le miss Italia (mmmmpf ... cose pese ...), vennero in quel di Borgo, a sfilare, grande manifestazione, al circolo della vecchia Sandra, tutta Borgo Tuliero (vecchi e vecchiette gelose al seguito, compresi!), s’era radunata, nel campo da calcetto proprietà del locale, a sbavare dietro alle belle gambe delle signorine, le quali, pavoneggiandosi, sfilavano altezzose, consapevoli del dono che la natura aveva loro offerto.
Quella volta, dicevo, non paghi del vederle solo sfilare, c’infilammo di nascosto su per la scala che portava al loro spogliatoio (il piano superiore del circolo) e guarda il caso, trovando l’uscio spalancato, pensammo ( o almeno io pensai, gli altri mi seguivano a ruota), d’intrufolarci nello stanzone ... beh ... qualche minuto dopo, i presenti alla manifestazione, sentirono le miss che, affacciate alla finestra del piano superiore del circolo, inveivano, urlando a gola squarcia, contro un branco di ragazzini che, ridendo, correva fuori dal giardino del locale con, nelle mani ( le mie mani), la parte superiore d’un bikini da sfilata ... e giù di PORCI, SCHIFOSI e –censura, censura, censura- ... è successo tutto sul serio, gente, e la mia guancia destra, ne pagò anche le conseguenze ...
In realtà, stavamo solo cercando di non annoiarci, il nostro, ovvero il mio, era un bisogno di trovare, ad ogni costo, qualche cazzata da fare, per non doversi fermar a pensare che, fra un mese e poco più, tutto sarebbe nuovamente finito e la vita vera, sarebbe tornata a mazzare giù pesante. Bene!, la mia preferita, però, fu quella del vino ... adesso vi racconto ...
Ce ne stavamo lì, come sempre, Via Nuova, battuta in pieno dal sole, afa mortale, mosche che, dalle stalle dei contadini, giungevano a posarsi su di noi, stravaccati a terra, come sulle bestie, forse scambiandoci per alcune di esse.
Quand’ecco ... !!!TOING!!! ... che la mia mente furbetta, formulò un idea abbastanza folle, ma geniale al tempo stesso, almeno per un ragazzetto di undici anni col pepe al culetto ...
“Bàsterdi” esordìì “Mo se noi, adèss ...”
“Ohi nonono, un altro casotto di legna no, l’altra volta il Gigì ce l’ha quasi fatto a strisce” cominciò a lamentarsi Renzo, andando con la mente a due giorni prima, quando si tentò di rubare la legna al

mio vicino, per costruirci una capannina di legno, imboscata dietro alla vecchia chiesetta da anni inutilizzata, da equiparare a piccolo rifugio segreto.
“Sì” s’infilò Silvia “eccheccaspio, mo me lo ricordo, socc’mel, che paura quand’ha aperto la porta d’improvviso ed è uscito il cagnazzo brutto, tutto che sbaviava c’u pareva ‘nu javlazz!”

“No, ‘gazzi, no, niente capannina, quell’idea ormai m’ha di già annoiato” ripresi il mio delirio “oggi, fasegna il vino, buono fresco vino di campagna!!!”
“Mo cosa dici, mo come facciamo a farlo???”
“Silenzio Marchì, lo so io, sì lo so, mo ti devi proprio fidar del mio dire, adesso, c’è il bon vecchio Feroj qui no, subito qui, all’inizio di Via Nuova, lo vedete anche da voi, voltando il capo alla vostra destra, il grande campo di viti del bon vecchio Feroj, lui ci fornirà la materia prima, l’uva bianca ci ha, e noi faremo il vino bianco, ch’è buono col pesce, dice la mia mamma!”

Scattai in piedi, una saetta che squarciò la calma dell’afosa via, nella nostra antica estate. “Cristianuccio, tu, ‘desso, vai nel tuo giardino, prendi la bacinella dove tua mamma lava i panni, la sssiacqui dal sapone e poi la piazzi al centro del giardino, sotto l’ombra del grande pino, e poi ci aspetti lì, lo faremo a casa tua, il vinello, ch’è bonino!”
Il Cristano, pigliò su e corse verso casa sua, saltellando come un leprotto, tutto allegro per la nuova trovata.
“Amici, fratelli d’arme, unitevi a me, in questa calda giornata, tutti in fila, dietro, su, si va in missione per fare il vino, il più buono e ho già anche in mente la marca e il disegno dell’etichetta, vedrete, è roba pesa!!!”
E ce ne partimmo, così, alla volta del campo di viti, del bon vecchio Feroj, il contadino gentile gentile.
Così gentile, da prestarci la sua uva, per fare il vinello.
Saltai il fossato, con un agile balzo, e, una volta di fronte al primo filare, cominciai a strappare i grappoli d’uva. La maledetta non veniva via, e mi trovai costretto a staccare tralci interi.
Le sorelline si erano piazzate nei pressi della casa del bon vecchio Feroj, a fare il palo ... che tenere che erano, con le treccine e il vestitino di pizzo, verde e bianco.
Matteo mi stava affianco e raccoglieva quello che io gli buttavo ai piedi. Renzo e Marco facevano lo stesso, il primo strappava e dilaniava tralci, il secondo era un cesto umano.
“Ok bestiacce, può bastare, GO!!!”
Attraversammo nuovamente il fossato, nessun segno di Feroj o della moglie, e giù, correndo come i pazzi, che all’epoca, eravamo, per la Via Nuova, fino alla casa del Cristiano, che già c’attendeva, con una strana bacinella in mano.
“Mo sèla? Ti avevo detto quella per lavare i panni, boi’ed che porz!”
“ ‘cusa giluigi, la mia mamma l’ha messa in garage, e poi, ciò, l’ha chiuso e sono via, sai, c’era solo questa ...”
“Sì, mo che è?”
“è la bacinella dove bevono i cani da caccia del babbo, c’era solo questa, l’ho svuotata e poi ai cani gli ho messo per bere, il coso che ho preso dalla gabbia degli uccellini, tanto loro sono morti, la gabbia era vuota da un mese, ho staccato il tubetto dove bevevano, l’ho riempito e l’ho sassato ai cani, è piccolo, ma se ci bevono gli uccelli, ce la fanno anche i cani, che, come dice il mio babbo, sono più intelligenti di tutti gl’altri animali, ecco ...”
“Va bene, hai fatto bene! Bravo sciàn, adesso metti la bacinella per terra, che ci mettiamo l’uva dentro e facciamo il vino!”
Marco mi tirò per la maglia, mi voltai a guardarlo.
“Sa ièl?”
“Ma come si fa a fare il vino, scusa, come facciamo ...”

“è semplice, l’ho visto fare alla televisione, basta buttare l’uva nella bacinella e poi pestarla con i piedi, e poi viene il vino, ch’è buono e poi io ci faccio l’etichetta, lo mettiamo nella boccie, lo chiamiamo il Vino della Via, poi facciamo una bancarella e andiamo a venderlo in piazza a Faenza, diventeremo ricchi di peso, ve lo dico io!”

“Ah, ho capito, che bello!!!”
Staccai i grappoli dai tralci, chinato sull’erba del giardino, a colpi di cazzuola, poi mi alzai e riempìì la bacinella.
“Ecco fatto, ragazzi, possiamo cominciare!!!”
Non feci in tempo a finire la frase, che Renzo, si tolse le scarpe da ginnastica e si piazzò dentro alla bacinella, cominciando a pestare l’uva.
“NOOOOO, mo cosa fai, demente” gli urlai contro “mo te li devi cavare i calzini, che schifo, mo così lo lordi tutto, il vino!!!!”
Estel si tappò il naso, inorridita.
“Oh mio dio, che puzza di piedi, bleach!”
Renzo saltò fuori, con tutti i calzini zuppi e verdognoli di succo d’uva.
“Ciò, mo non l’avevi mica detto te, però eh!”
“Allora” cominciai paziente “adesso, ci togliamo scarpe e calzini e sottolineo calzini, e a turno ci infiliamo dentro e pestiamo tutto tutto, con forza, chiaro??? Bene!!!, cominciamo!”
Cristiano si tolse i sandali, e andò per primo. Cominciò a pestare.
Aveva girato tutto il giorno con la scarpe aperte, lungo l’asfalto e l’erba della campagna, e aveva i piedi più neri della carbonella.
In poco tempo, il succo, ovvero mosto, dell’uva, cominciò a riempire la bacinella.
“Alè, via, vengo anch’io!” disse Marco, ridendo. Si cavò scarpe, calzini e via a pestare!
A turno, pestammo tutti, eccetto Estel che, schifata, s’era appoggiata allo steccato che circondava il giardino, e continuava a lamentarsi della puzza dei nostri piedi.
“Ok, può bastare!” dissi, dopo una mezz’oretta di pestoni.
Bene, quello che la nostra ignoranza di bimbi credeva vino, stava lì, nella bacinella, una poltiglia verdognola, buona!?
“Ok, bisogna imbottigliarlo, faccio una corsa da mio nonno, a prender una della sue bottiglie vuote di vetro!”
Detto questo, corsi a prendere una delle bottiglie vuote che mio nonno, teneva nel garage (ce n’è ancora qualcuna oggi!), e tornai dal mio gruppetto.
Riempimmo la bottiglia, fino all’orlo del collo.
“Adess mo proprio bisogna sentirlo, tuo è l’onore Cristiano, che sei stato colui che ci ha donato la bacinella, vai mo!”
Al mio ordine, il bimbetto prese la bottiglia e ne bevve un lungo sorso.
Gli occhi di noi’altri erano tutti fissi su di lui, in trepida attesa del giudizio.
“Buono, è molto dolce, però è un po’ sabbioso, sembra che ci sia la sabbia dentro, ma è come succo, molto dolce ...” fu il commento di Cristiano.
“Bene, Bene, è venuto un vino dolce, farà successo, forza, beviamo beviamo!” intimai il gruppo e cominciammo a passarci la bottiglia.
Giunto il suo turno, Marco si attaccò con estrema curiosità, ma si ritrasse quasi subito, schifato. S’infilò due dita in bocca e ne estrasse un lunghissimo pelo nero, probabilmente appartenuto ai calzini di Renzo.
Bevemmo e bevemmo, buttammo giù il nostro buon “vino” dolce.
“Ciò, però non mi ubriaca mica questo vino, non mi gira la testa, sto benissimo!” annunciò Silvia. “Mboh ... forse ... ecco, cavoli, ci vorrà anche la ferma!” saltai sui, battendomi il pugno chiuso, sul palmo aperto.

“Cosa???” chiesero i miei amici.
“La ferma ... la fermenta ... quella che dobbiamo metterlo a farlo maturo, ‘nsomma, forse ci vuole, è necessaria, cavoli ...”
Saltò su Renzo.
“Posso portarlo io in garage, lo lasssiamo lì una settimana e poi si fa maturo, dopo è buono!” Amareggiato, chinai il capo.
“Non so, ragazzi, forse è stato tutto sbagliato, un’altra volta, come la capannina, tutto al jeval!”
Mi appoggiai alla staccionata, improvvisamente stanco. Ricordo che mi assalì, d’un tratto, una profonda tristezza, così, dal nulla, e tutto, mi pareva fatto invano.
“Abbiamo sbagliato tutto, forse questo non è il vino, forse ... mboh ... non so ...”
Alzai lo sguardo, erano tutti lì e mi fissavano, indecisi sul da farsi.
“Sapete che d’improvviso ... mi sento in colpa per aver rubato quell’uva per niente???” dissi, rivolto agl’astanti.
La conseguenza fu, che riuscì a spegnere e a deprimere pure loro, i quali iniziarono a lamentare i miei stessi sensi di colpa.
“Bisogna fare qualcosa ... abbiamo rubato tanta uva per un nulla, proprio, un nulla, e loro ci hanno anche rimesso dei soldi quindi ...”
Marco scosse il capo.
“Sì, è vero, gli abbiamo rubato dei soldi, loro potevano farci vino vero ...”
Ma ecco che, all’improvviso, mi venne un’altra idea.
“Portiamoglielo, portiamogli il vino falso che abbiamo fatto, così poi loro lo trasformano in vino vero e non ci rimettono soldi, chiediamogli scusa!”
Cristiano si tirò indietro, spaventato.
“No nono nonono, io non vengo, io c’ho paura, poi Feroj ci mena!”
“Sì, non vengo manc’io!” s’unì a lui, il bon Matteo.
Finì che andammo in quattro, io, le due sorelle, Renzo e Marco, a bussare alla porta del pòra Feroj. Ricordo che, venne fuori sua moglie, tutta sorridente e gentile e noi lì, amareggiati al massimo, la vergogna pesa, dipinta sul volto.
Quando la moglie di Feroj vide la bacinella piena di mosto che reggevo in mano, s’accigliò d’improvviso.
“Mi scusi ‘gnora, oggi noi volevamo fare il vino e abbiamo rubato la sua uva, ci dispiace, ma non ci siamo riusciti, però le abbiamo portato quello che abbiamo fatto, così poi lei non ci perde soldi e ci fa il vino vero ... è molto dolce, è buono ...”
“Ah, ragazzi, ma scusate, m-ma, m-m-ma io che me ne faccio, mo non me ne faccio miga gniente di sto mosto, io, beh ...”
“Ah ... ok, mi scusi, io non sapevo ...”
“No ciò, per sta volta passa dai, però basta che non lo fate più ...”
Fu comprensiva, e molto anche, forse il marito lo sarebbe stato meno, ma lui non c’era e ... beh ... meglio così!
Finimmo con un mal di pancia bestiale, per aver ingurgitato tutto quel mosto, e Cristiano, che ne aveva bevuto di più, andò in diarrea, il poretto! Mi raccontò tutto la sorellina il giorno dopo, dato che lui era costretto al gabinetto ...
Crescendo, onde evitare che disguidi del genere si ripetessero, decisi di studiare come agrotecnico e mi iscrissi al professionale d’agraria, ricordando proprio quest’avvenimento. Il risultato? Un bel cinque tondo tondo di media in Enologia, portato fino all’esame di maturità, e trasformato in sei, solo grazie al sette in Agricoltura, che faceva media.

Gianluigi Valgimigli

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