-Racconto originariamente pubblicato nella raccolta “Ravenna in Viaggio” (Claudio Nanni Editore; 2015)-
STASERA IL DRAMMA DEGLI OAKIES MI MOLESTA IL GINGILLO
“... mentre scendevano la valle, scendeva il blues in grandi scariche scintillanti dal cielo terso di nubi, i tuoni colpivano il suolo e mandavano fragori di vecchie sedie elettriche fumanti, con fantasmi di cartone animato seduti sopra che ululavano lo scat di Calloway (l'audiaudiahoooooo!!!), colle orecchie unte di jazz; i poveri oakies che dalle grandi distese cotonate, partivano migrando lasciando affetti, e sputavano a terra sangue, e merda, e bestemmie contro la vergine eccellente, ai piedi suole di letame, sulla schiena la coperta macchiata del silenzio delle case abbandonate, in petto un cuore colmo di bugie su una California inesistente, e in faccia la triste verità dei trattori affamati, che le tempeste di polvere non portavano via -al contrario del raccolto- ... via, via, che si arriva alla strada, intasata di lordi furgoni fatti-di-ruggine, voci, rumori infiniti e continui, nella rovente estate della fine dei tempi (!!!sono finiti i tempi belli, diceva sempre Michael come un tormentone, e io non volevo credergli, ma ero solo uno stupido, stupido, stupido porcello vizioso!!!), la lunga fila errante che cantava in processione le canzoni della famiglia Carter, che la radio passava ogni sera, e si ascoltava tranquilli nella propria intimità, al tramonto, ---INTIMITà-ORA- VIOLATA(il padre si cava i calzetti e cinghia il bimbo che piange all’angolo)--- l’autoharp sferragliante accompagnava la povera ingenua dal cuore marcito, che addolorata andava a seppellirsi sotto il vecchio salice piangente piangendo un amore che tanto non torna, e il vincolo si è spezzato, il becchino ha finito di scavare, poni un bacio sul mio respiro mortale quando le mie labbra saranno di neve!, questo ci vorrebbe a rinfrescarci, la neve!, diceva il vecchio dai capelli coperti di forfora, c’è un caldo che ammazza un negro -nonostante per noi, oggi, il sole non batta-, e ci hanno portato via tutto, lasciandoci questa lunga strada da percorrere, e io prego cristo che mi faccia schioppare presto, se non avrò il mio bicchiere di neve, ma nessuno avrà ciò che vuole, solo false speranze che alimentano odissee mentali, dove come un divo ti atteggi, all’ultima lettura di fine spettacolo, e la California è come la puttana più costosa in un bordello di poveracci, è lì, è bella, ma non la puoi avere, si atteggia la smorfiosetta, ma non la puoi comprare, e finirai quindi rinchiuso come un ratto dentro una capanna costruita col tuo sterco, ammassato nella massa, senza manco un numero alla giacca, un fuoco fatuo che svanirà al mattino, quando i profanatori verranno a disseppellire il cadavere nel grande cimitero dei disillusi, con le ruspe verranno, e manco il gallo col suo canto riuscirà a destarci, perché al gallo han mozzato via la testa, e buona pace, gesù cammina sul mare di galilea, ciaociaociao! ... l’uomo bassotto che camminava accanto al vecchio, lo ascoltava annuendo, e mentre si beveva la propria bava per non morire di sete, raccontava le sere che suonava l’armonica, seduto in veranda, accompagnando il banjo del nonno che si credeva Uncle Dave Macon, e suonavamo suonavamo, e quel vecchio caprone mi ricorda un po’ te, vecchio dai capelli coperti di forfora, e mi ricorda il paese, e scendevamo al paese, quella volta che c’era la festa, e c’era il concerto di Jimmie Rodgers in piazza, e la gente si accalcava e si pestava la testa, e i bambini correvano dietro alle galline, e io pensavo che sarei sempre rimasto lì, perché quello era tutto, era il mio piccolo mondo, era la mia casa, ero io, ma poi sono arrivati loro, e ci hanno distrutto, mi hanno distrutto, e mi hanno obbligato a viaggiare... e sono qua con te adesso, a viaggiare, e viaggiavano assieme sul lungo serpente di fuoco, e ormai non si faceva più caso ai clacson, e neanche alle scariche elettriche di triste realtà e abbandono forzato, e forse neanche alle nuvole nere che gli oscuravano il capo, solo il caldo afoso rimaneva verità, e continuava a seccare le pagine delle loro biografie, che per alcuni già sbriciolavano in polvere, come quella vecchia befana che moriva tra le mani del figlio lacrimante, sul ciglio della strada, e il rombare dei motori copriva le grida; ma per cosa si gridava poi? La gente, a volte, spreca le proprie grida... proseguiva senza sosta l’odissea, e portava la colonna di braccianti, fumo, e veicoli, oltre la collina, e io posso solo dire che ci ho provato con tutte le mie forze, ma non ci sono riuscito; dunque... il mio viaggio è cominciato troppo presto, e guidato dall'inesperienza, ho barato bruciando tappe, nel delirio ansiogeno dei miei giorni sprecati a inseguire odori ingannevoli di fiori spinosi, che bocche fameliche di falso piacere alitavano al vento, e seguendo quel vento son partito una notte, abbandonando ogni certezza, ogni progetto sicuro, perdendomi nel grande mondo non ancora maturo, guidato da false speranze di gloria inutile -questo è il modo per bruciarsi presto, dice il direttore dietro la grande scrivania piena di stupidi libri da cestinare, e presto io son bruciato- e scalando monti senza mai vederne il lato opposto, sono stato nel profondo sud dove non sentivo più l'odore del mare, vagabondando con la chitarra sulle spalle, ho camminato nelle vaste praterie del Texas, dove Blind Lemon Jefferson cantava dal fondo di una stanza buia, ma neanche lì c'era il sapore dei miei monti, e ho caracollato in Virginia coi canti Appalachi, e siccome i vestiti mi stavano stretti e le mie mani non erano abbastanza rapide, persi il duello all'ultimo sangue giù a Maces Spring, ma non me ne fregava niente, perché avevo la testa rapita dai fumi degli incensatori bugiardi, e continuavo diritto il mio viaggio, arrivando in quella vecchia casa di campagna, invitato a pernottare dal vecchio agricoltore, la cui figlia minore a cena mi strusciava il piede contro la gamba, sott'al tavolo, e io mi perdevo nei suoi occhi verdi coperti da ciuffi di capelli neri, e gliel'avrei fatta vedere più tardi, nella stalla, sdraiato sul fieno che mi pungeva la schiena nuda, mentre lei mi stava di fronte, in piedi !!!gonn'alzata!!!, e mi raccontava quanto odiasse sua sorella maggiore che in paese, nelle gite della domenica, passava altezzosa in mezzo ai maschietti che le guardavano il sedere (più magro e più snello del suo, ch'era un po' ciccio), seduti davanti al piccolo bar gestito da una cicciona scorbutica che ogni volta che parlava sputava e usciva con la scopa a scopare via i cani randagi, attirati dall'odore del salame nei panini dei clienti; io l'ascoltavo ma non potevo condividerne l'odio, perché sua sorella -bella, bionda, e snella- l'avrei presa due ore dopo nella tenda in cui dormiva, in mezzo al giardino, la mia piccola indianina dal sedere arrapante -e augh! ti saluto quando spunterà il sole-, poi fuori sulle panchine davanti alla casa, a suonare e far canzoni fino a tardi, col padre ignaro del fatto che chi gli stava accanto era il nuovo padrone delle sue bambine, e la seconda manche con l'indianina bionda - nella camera da letto di un fratello partito anni fa per il servizio militare, letto comodo, roba buona (grazie paparino per avermi dato asilo, e grazie soprattutto per il servizio aggiuntivo), dipinti alle pareti di gente che mungeva vacche e ubriachi che appassivano stesi su tavoli in saloon appena accennati alle spalle loro- che dopo il compito assolto, se ne stava tra le mie braccia [[piccolina e magrolina, molto molto carina]] raccontandomi di sua madre morta due estati prima {>Rimanevo immobile a guardare la polvere che si alzava, fuori dalla finestra, e già sapevo che era tutto finito; era dolce quella sensazione, molto malinconica, mi toglieva un peso in un certo senso, sentivo il mio corpo farsi più leggero, mentre mia sorella piangeva seduta su una sedia in cucina, ma io non le davo ascolto<}, e di come avesse lei preso in mano la situazione, e quella stupida bimbina viziata -e viziosa- di sua sorella che non capiva, non la capiva mai, e nessuno la capiva, e neanch'io la capivo, e non mi interessava di capirla, perché con la mente già pensavo a rimettermi in marcia "e tu domani te ne andrai, perché tutti se ne vanno, se ne vanno sempre, e io sono la solita oasi nel deserto in cui si fermano ad abbeverarsi, e lascio che si prendano un po' dell'acqua che ho da offrirgli, perché è l'unico piacere che ormai posso trarre dalla vita, e... e continuava e continuava, mi ero già scocciato, e pensavo ai boccoli neri di sua sorella; MATTINA! piglio la chitarra e riparto scivolando via dalla stanza, il padre mi saluta sulla soglia, la bionda non esce dalla cucina -la vedo dalla finestra che lava i piatti e fissa il vuoto, anche lei è in viaggio con la mente, siamo tutti in viaggio con la mente- e boccoli neri non c'è, m'avrebbe raggiunto dopo tra i filari per darmi il bacio d'addio {{e io mi sarei preso anche il resto, ma era già tardi, e la mia testa era ormai schiava del ritmo di un blues vagabondo}} e poi via, tornando pellegrino, lungo vecchie carraie sono stato sconfitto da un papero nella corsa all'oro del Klondike, fatto prigioniero a Fort Duckburg (Calisota), e immerso nel fango di una puzzolente palude, dove uomini barbuti -stanghette occhiali neri, e io ti giuro papino, non ho fatto apposta a romperteli, quattro anni solo- impugnavano coltelli digrignando i denti nervosi nervosi nervosi nervosi nervosi che scricchiolavano e si sentivano e dicevano “t'ammazzo figlio di...” offendendo poi sua moglie, che sciocchi!!! eravamo tutti sciocchi quella sera che fuori dal locale -arrivato in un minuscolo paesino tra i deserti di pianure industriali- ci ubriacavamo e pigliavamo in giro quella ragazzina che non riusciva a mandare giù e stava col gnocco in gola e la nausea nel cuore, invece di costruirci un riparo per la tempesta di neve in arrivo (e ci ha preso poi alla sprovvista, mi ha preso alla sprovvista, e guarda adesso come siam ridotti, a sopportar di parcheggiare lontano kilometri da un luogo di lavoro che paga in batuffoli pelosi trovati sott'al tappeto), e Michael tornava a parlare nei sogni che facevo dentro al sacco dell'immondizia in cui dormivo, in mezzo a una foresta tra Borgo Tossignano e Shangai, e stavolta -ohlonesomeme- gli davo ragione!, e non mi ricordavo più il calore delle braccia di mia madre, ma ero sicuro della freddezza degli scarponi di mio padre, sognando ma non dormendo sotto gli alberi e le civette e i ragni sulla tapparella di mia nonna, ricapitolando il percorso da intraprendere l'indomani; in un antico giovedì son passato alla destra (o almeno, avrei voluto fosse la destra) di un grande lago, e in un tuttosommatoaccettabile venerdì sono stato sdraiato su un lettino di un ospedale, fingendo di essere matto, solo per riposarmi un poco dal mio lungo errare... ma poi una mattina -fresca acqua di un ruscello- ho commesso il più grave dei gravi errori: mi sono fermato a pensare... mi sono fermato a pensare sul serio, non alle solite cavolate tipo i sederi di sorelle o i loro boccoli neri, e ho realizzato la grande verità, cioè che non c'era nulla da realizzare, l'inutilità del tutto mi ha afferrato la gola come Simone nel campetto sportivo di Borgo Tuliero, mi ha lacerato via la stoffa dei calzoni come succede quando ti gratti sempre il culetto perché prude, ed ero stato così tanto stupido, ma così tanto ma tanto stupido che mi vergognavo d'esser'al mondo, e ho sassato la chitarra nel ruscello, e ho deciso di svegliarmi; sono tornato indietro come un fantasma, sui lunghi percorsi percorsi in precedenza, con la mente chiusa a tutto, e i piedi che non tenevano più nessun ritmo, tutto vuoto il barattolo, tua cugina si è mangiata tutta la nutella, ma adesso l'ha pagata cara perché è grassa, e io ho pagato più soldi di quelli che avevo in banca, per questo ho il conto sotto, e la realtà dei fatti è che tutto è stato vano, tutte parole sprecate al vento delle inutili serate artistiche faentine, tutti giochi da minchiosetti che credevano di essere maledetti, come il Pelolungo d'Arabia (bella questa, però!) nelle idiote rivalità scolastiche, come il Vampiro che succhiava il sangue ad una delle mie tante ex mogli, come Clarissa, nordica biondina dagl'occhi di ghiaccio, che non mi salutava mai (all’uscita da scuola) e rimaneva a fare giochini di bocca al chitarrista della rockband del Grafico, nelle latrine con il fumo spacciato, senza la sua amica del Mordillo perché non camminava più dopo la notte passata in macchina con due sconosciuti sulla Pietra Mora, e stavo così male sulla via di un ritorno insensato ma non più della partenza, e mia cara signorina banalità, vorrei chiudere dicendo che non sono solo le donne ad essere violentate! ... Così, il viaggio è finito, ancor prima d'iniziare, e rincaso smarrito, con le tasche piene di scritti da buttare”.
Gianluigi Valgimigli
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