domenica 5 gennaio 2025

I MIEI RACCONTI - Teorie e cospirazioni aliene nelle canzoni di Enzo Jannacci (2016)

  

Racconto originariamente pubblicato nella raccolta “Ravenna Galattica” (Claudio Nanni Editore; 2016) -

TEORIE E COSPIRAZIONI ALIENE NELLE CANZONI DI ENZO JANNACCI

di Gianluigi Valgimigli

Caro “Forma di vita intelligente n.876234551”,
il seguente scritto che ti invio, fa parte di una raccolta di racconti di nome “Ravenna Galattica”, 
pubblicata centinaia di anni fa (nel 2016 a. G. I., per essere precisi), e rinvenuta il giorno 34 del mese 58 del nostro anno corrente, nei pressi del quartiere n.56 della zona di quarantena n.234567821 (conosciuta, prima della Grande Invasione, con il buffo nome di “Ravenna”, poi ripreso nel titolo della raccolta). Sfogliando distrattamente il libro, e dopo aver letto un bellissimo racconto di un certo Comanduccio Lucrezio (o almeno credo...), sono incappato in questo particolare scritto, che ha subito attirato la mia attenzione: farai fatica a credermi, ma l’autore del racconto in questione, aveva pronosticato con molti anni di anticipo la Grande Invasione, e proprio grazie a questo scritto e alla sua pubblicazione nella raccolta, aveva tentato di allertare i suoi simili (probabilmente invano, considerando poi com’è andata a finire...). Ma la cosa più sconvolgente, è come avesse scoperto il tutto (tieniti forte!): analizzando le canzoni di un certo Enzo Jannacci (se vuoi saperne di più, dovresti trovare una scheda su di lui nel Grande Archivio, sezione “Prima della Grande Invasione”, indirizzo “123.345.19.10.0.5”, lettera “J”). Di seguito, ho riportato tale e quale, il racconto di quella mente ammirevole: buona lettura e, soprattutto, buon divertimento! ;-)
Con petaloso affetto,
tuo “Forma di vita intelligente n.876233121”

PS: Non erano poi così stupidi questi umani, eh? Ma questo non è bastato a salvarli, ahahahah!

 

“TEORIE E COSPIRAZIONI ALIENE NELLE CANZONI DI ENZO JANNACCI”

Piccola (e doverosa) introduzione:

Considero Enzo Jannacci, cantautore milanese nato nel 1935 e morto nel 2013, uno dei più grandi luminari della storia popolare del nostro paese: non solo era un bravissimo e originalissimo compositore (capace di fantastici guizzi creativi, sconosciuti ai suoi colleghi cantautori), ma soprattutto era uno che aveva capito molte cose prima del tempo, e aveva trovato il modo di dircele scrivendo canzoni. Le sue composizioni, strabordano infatti di messaggi più o meno nascosti, spesso riguardanti forme di vita extraterrestre; sì, avete capito bene: le canzoni di Enzo Jannacci abbondano di riferimenti alieni, per lo più trattando di vere e proprie cospirazioni a danno della Terra e dei suoi abitanti (cioè noi). Abilissimo e saggio a mascherare tali messaggi nei suoi brani, spargeva qua e là qualche indizio per i più attenti, come il modo di cantare stralunato e “schizo” (aggettivo, quest’ultimo, da lui coniato per definire un certo suo modo di proporsi e certe sue composizioni), la surrealità di molte sue produzioni, l’utilizzo di una personalissima poetica (da lui definita del “saltimbanco”), e alcuni riferimenti nascosti ad eventi misteriosi realmente accaduti. Nello scritto che andrete a leggere, ho analizzato con attenzione alcune canzoni, che ritengo particolarmente significative per la comprensione di quanto detto finora; mettetevi comodi, quindi, e prestatemi attenzione: ho cose molto importanti da dirvi, ed è tutto vero!

Il cane con i capelli (1961; pubblicato prima come singolo, poi nel 1968 nell’album “Le canzoni di Enzo Jannacci”):

Lato A del terzo singolo da solista del cantautore, “Il cane con i capelli” racconta la stralunata vicenda di un cane con i capelli (!!!) che, considerandosi diverso perché dotato di capelli, crede di poter essere accettato come persona e non più come cane, scoprendo invece, alla fine, di non poter cambiare la sua condizione di animale (sempre cane rimane), e finendo emarginato per l’invidia dei fratelli (cani senza capelli), e perché (citando il verso finale) “non si è mai visto un cane con i capelli”... Ebbene, proprio su quest’ultimo punto la mia analisi si focalizza: non si è mai visto, qui sulla Terra, un cane con i capelli! Da dove proviene, quindi, questa bestia rara (tra l’altro parlante)? Dallo spazio? Il cane con i capelli, potrebbe quindi essere una creatura aliena? Un animale extraterrestre, giunto sulla Terra perché stanco di essere uno qualunque, e desideroso di diventare un essere speciale, ammirato da tutti per la sua diversità. Ma potrebbe anche essere un altro il motivo della sua visita: e se la bestia avesse voluto conquistare la Terra? E magari, sconfortato e umiliato dal nostro comportamento, avesse deciso di rinunciare, considerandoci già avviati verso la rovina? Jannacci, abile a mascherare i suoi brani, nasconde la cosa facendoci credere prima che i capelli siano finti e quindi frutto di un trapianto (e questo solleva altri dubbi: chi mai farebbe un trapianto di capelli a un cane? Ma soprattutto, come può un cane essere tanto intelligente da desiderarlo?), e in seguito che l’animale, avendo dei fratelli normali, sia il prodotto speciale di un parto tradizionale e terreno, ma poi, saltandosene fuori con il già citato verso “non si è mai visto (- sulla Terra- non lo dice, ma è palesemente implicito) un cane con i capelli” fornisce un inconfutabile indizio, e la sua genialità costruisce un testo volutamente contraddittorio, per nascondere la cosa dietro alla scusa di una maturità non ancora raggiunta, facendo quindi passare il tutto, per un’ingenuità dovuta a un’abilità lirica ancora acerba: bravo Jannacci, vecchio volpone!

Gheru Gheru (1961; pubblicato prima come singolo, poi nel 1968 nell’album “Le canzoni di Enzo Jannacci”):

Lato B del “cane con i capelli”, in “Gheru Gheru” si descrive un personaggio strano, un omino metà bianco metà nero (...mmmmhhhh...) che, una volta incontrato, è in grado di donare la felicità a chi lo scova... Ma, nello specifico, chi sarebbe questo omino metà bianco metà nero? La canzone non lo dice, e per questo rimane molto oscura, quasi inquietante, soprannaturale... E se Gheru Gheru fosse un alieno? Un essere venuto da un altro pianeta? E poi, nello specifico, cosa vorrebbe dire che dona felicità a chiunque lo incontri? Felicità, in che senso? Pure qui, la canzone rimane un... mistero... E se la felicità donata fosse in realtà una morte rapida e indolore? Una morte rapida e indolore, che lui (l’alieno!) può procurare sparando un raggio protonico dalla sua pistola a raggi protonici, che quando spara emette un “prot... prot... prot...” disturbante e agghiacciante? Se così fosse, non solo la canzone mostrerebbe una macabra ironia (o una visione pessimistica della vita sulla terra, vista come un morire lento, e dove la felicità può essere una morte istantanea, rapida e indolore), ma preannuncerebbe una futura invasione extraterrestre, da parte di un gruppo di Gheru Gheri assetati di sangue umano e affamati di conquista... Insomma: quello che molti credono un brano minore nella carriera di Jannacci (è, in effetti, assai modesto, confrontato con i capolavori successivi dell’artista), potrebbe non essere così trascurabile; anzi: potrebbe essere uno dei tasselli principali, per svelare il mistero celato dietro le canzoni stralunate e alienate del nostro... Ultima considerazione: come abbiamo visto, entrambi i brani fanno parte dello stesso 45 giri, e questa è un’altra prova a sostegno della mia analisi; perché pubblicare questi due brani nello stesso singolo? Per creare un piccolo “concept”, ovvio: un concept sugli alieni!

Andava a Rogoredo (1964; pubblicato prima come singolo, poi lo stesso anno nell’album “La Milano di Enzo Jannacci”, primo della sua carriera):

Uno dei primi capolavori della poetica geniale (e misteriosa, aggiungo io!) del cantautore, il brano si ambienta nel quartiere milanese di Rogoredo, e segue le vicende di un uomo (lavoratore di fabbrica, di pochi averi) interessato a conquistare una donna, che sembra non prenderlo in particolare considerazione. La vicenda tragicomica continua con la richiesta della donna, vogliosa di un krapfen ma senza soldi per comprarlo, di un prestito monetario che il protagonista immediatamente concede, dando però sulla fiducia una banconota intera; la furbetta, anziché portare il resto, intasca i soldi e scappa, lasciando l’uomo disperato e al verde. Dopo aver cercato invano per tutta Rogoredo, e ormai in ritardo per rientrare al lavoro, il poveretto decide di suicidarsi annegandosi nel Naviglio: e qui, avviene l’inspiegabile. Prossimo ormai all’atto, all’ultimo ci ripensa, e decide di non andare fino in fondo, ma la canzone non spiega il motivo in maniera chiara, e il tutto rimane molto astratto e visionario. Perché quell’uomo, povero, senza più nulla, disonorato, probabilmente licenziato per aver mancato l’appello alla fabbrica, dovrebbe lasciar perdere tutto? Non credo al classico ripensamento di chi si accorge che la vita è bella, o almeno, non in una canzone di un artista che ha dimostrato più volte di avere (molti!) lati oscuri... La verità è che l’uomo, potrebbe essere entrato in contatto con una forma di vita aliena, e questa potrebbe avergli impedito il suicidio tramite lavaggio del cervello, eseguito attraverso un casco emettitore di onde elettromagnetiche speciali per il controllo della mente, indossato dall’extraterrestre. Questo non solo spiegherebbe l’ambiguità della scena, ma si collegherebbe anche a un fatto poco conosciuto, di origine aliena, avvenuto proprio a Rogoredo nei pressi del Naviglio, e di cui Jannacci era indubbiamente a conoscenza, essendo già nato da 14 anni: il 15 aprile (stesso mese citato nel brano!) del 1949, un uomo di 32 anni venne incarcerato per l’omicidio di un altro uomo, suo coetaneo e amante, e alla stampa rilasciò una dichiarazione da brividi, che conferma in maniera definitiva quanto da me affermato sopra. L’uomo, accusato di aver affogato l’amante nelle acque del Naviglio nella notte tra il 14 e il 15 aprile (si trovavano sul posto per amoreggiare di nascosto), dichiarò di aver agito sotto il controllo di una mente estranea, e di non aver potuto in alcun modo resisterle. Altri due sono i fatti sconcertanti: il primo è che l’omicida, a reato compiuto, giurò di aver visto una figura scura con indosso un grande casco che emetteva luci rosse e gialle a intermittenza, alta poco più di un metro, saltare fuori dalle acque sulla sponda opposta, e dileguarsi tra le tenebre della notte; il secondo riguarda il fisico minuto dell’assassino rispetto alla vittima, uomo ben più grosso e forzuto, e il modo in cui questo è stato ucciso, con la testa costretta sott’acqua dal braccio omicida. Come ha potuto la vittima, dotata di maggior forza rispetto all’amante, farsi sottomettere a quel modo? Il motivo è ormai ovvio, miei curiosi lettori: è stato l’alieno a dargli la forza! Ma per quale motivo l’alieno ha fatto tutto questo? E per quale motivo ha salvato un disgraziato dal suicidio (disgraziato, vi ricordo, umiliato, offeso, sfruttato, e quindi sicuramente pieno di rabbia e astio)? Perché gli uomini, soprattutto in condizioni disagiate, sono ottimi veicoli di morte, che gli alieni sfruttano (e stanno sfruttando!) per la conquista della Terra. L’omicida di cui ho parlato sopra, essendo omosessuale in una società che punta il dito e discrimina, e dovendo quindi vivere il proprio amore da contrabbandiere, era naturalmente pieno di rabbia. Da tutto ciò ne risulta che, “Andava a Rogoredo”, è un brano che parla di un’invasione extraterrestre ormai in corso da anni, e che, piano piano, attraverso l’ingegnosa tecnica del controllo mentale, sta lentamente decimando la nostra popolazione. Non mi stupirebbe apprendere che, in realtà, dietro a molti omicidi si nasconde molto di più di quello che apprendiamo dal telegiornale: ovvero, un tetro figuro che indossa un pericolosissimo casco. Riflettete, curiosi lettori, riflettete...

Vengo anch’io. No tu no! (1967; pubblicato prima come singolo, poi l’anno dopo nell’omonimo album):

Non solo uno dei brani più celebri e di maggior successo commerciale dell’artista, ma anche uno dei più misteriosi e inquietanti: la storia dietro a “Vengo anch’io. No tu no!”, ha infatti il sapore di una leggenda metropolitana, o dovrei dire, extraterrestre.
Il clima surreale e alienante della composizione, alimentato, nella sua versione originale del ’67, dal canto stralunato e dall’arrangiamento cacofonico e distorto (che rende il tutto terribilmente disturbante!), è già valida prova a sostegno della mia tesi; ma se questo non dovesse bastare, la mia prossima affermazione fugherà ogni dubbio: esiste una strofa mancante del brano, che quasi nessuno conosce perché mai pubblicata o inserita in successive reincisioni, che parla proprio di... alieni! La versione ufficiale di “Vengo anch’io”, quella pubblicata su singolo e su album per intenderci, è infatti ben diversa da com’era in origine: la prima versione, secondo il volere di Dario Fo (co-autore del testo), prevedeva due strofe di forte denuncia sociale, ambientate in Congo e in Belgio, che poi Jannacci decise di togliere, e riscrisse (assieme a Fiorenzo Fiorentini) il testo nella versione definitiva; o almeno, quella che lui avrebbe voluto come definitiva. La versione poi pubblicata, infatti, vide un ennesimo e ultimo taglio, operato all’ultimo momento, che estromise questa strofa:

Si potrebbe andare tutti quanti là sulla luna (Vengo anch’io. No tu no!) / A scoprire altre forme di disperazione / E capire che non c’è fuga dal nostro destino / E vedere di nascosto l’effetto che fa

Inquietante, vero? La strofa ha una doppia analisi: fermandosi alle apparenze, e considerando la cosa con superficialità, vi si legge una disillusione nei confronti di un mondo ormai irrimediabilmente in decadenza, decadenza alla quale non è possibile sottrarsi, neanche rifugiandosi su altri pianeti, dato che “il cancro sociale” ha ormai intaccato l’intero cosmo; bene, questa è la prima analisi. La seconda, ben più interessante e inquietante, potrebbe portare alla luce una vera e propria cospirazione aliena... Pensiamoci un attimo: quali altre forme di vita è possibile incontrare sulla luna, se la luna non è abitata (o almeno non stabilmente, dato che alcune teorie sostengono sia usata come base da qualche forma di vita aliena, ma ciò non è ufficializzato quindi non considerato nella mia analisi)? Non essendoci quindi una popolazione aliena sulla luna, è molto probabile che quelle altre “forme di disperazione” siano gli umani stessi, scappati da una Terra ormai in mano agli extraterrestri invasori e colonizzatori di pianeti, per cercare di creare un'altra Terra, in cui vivere (ovviamente) sotto enormi capsule di vetro, data l’atmosfera irrespirabile; ed ecco che arriva, come un colpo di pistola al cuore, l’amara constatazione: “e capire che non c’è fuga dal nostro destino” ... Perché sì, è proprio così: non si fugge dagli alieni invasori e colonizzatori di pianeti! A sostegno di ciò che ho scritto, ricordo che la strofa fu misteriosamente eliminata all’ultimo momento, e per cause all’apparenza sconosciute: siamo sicuri che siano così sconosciute?

Piccola curiosità: Nel lato B del singolo di “Vengo anch’io”, si trova “Giovanni, telegrafista”, cui testo è una traduzione di una poesia brasiliana di Cassiano Ricardo, mentre la musica è una composizione originale di Jannacci. Tra una strofa e l’altra, il nostro canta un “piripiripiripiripipipiripiripiripiripipi” di sua invenzione che, teoricamente, starebbe ad indicare il suono onomatopeico prodotto dal telegrafo, utilizzato dal protagonista Giovanni. E se la realtà fosse diversa? E se quel ritornello, che ricordo essere parte di un brano compreso in un singolo oscuro e misterioso, fosse in realtà un messaggio ben definito rivolto a una forma di vita aliena? Il mistero s’infittisce...

La sera che partì mio padre (1968; pubblicato nell’album “Vengo anch’io. No tu no!”):

In questo brano, ispirato a Jannacci dal padre Giuseppe (che nel secondo conflitto mondiale, prese parte alla “Resistenza Italiana”), viene narrata la storia strappalacrime di un padre costretto a partire per la guerra (ma quale guerra? Non viene specificato...), e della sua famiglia che, alla finestra, lo guarda andare, andare per non tornar più: infatti, il padre finirà poi ammazzato, e nella strofa finale sarà il figlio a dover partire per prenderne il posto (sì, ma per dove?). Il brano, molto ambiguo, non offre risposte precise alle domande da me formulate tra parentesi, e lo fa in maniera consapevole. Senza alcun dubbio, il nostro cantautore, vuole aprire le porte a una più profonda e oscura chiave di lettura, che non si limiti a inquadrare il conflitto come seconda guerra mondiale (anche se ciò viene subito naturale, considerando le supposte origini del brano, e qui torna l’abilità e la genialità come camuffatore di Jannacci): la guerra che il padre è chiamato a combattere potrebbe essere una guerra tra umani e alieni, e questo fa sì che nello stesso album, torni il tema della popolazione di extraterrestri invasori e colonizzatori di pianeti: è forse un caso? Io dico di... no...

Altre canzoni compromettenti:

Il tassì (1961; pubblicato prima come singolo, poi nel 1968 nell’album “Le canzoni di Enzo Jannacci”) –

Nella canzone, lato B del primo singolo da solista, si parla di un taxi capace di pensare e di agire in maniera autonoma, come un essere umano; com’è possibile? Che sia forse un taxi alieno? E le persone salite al suo interno, che fine faranno? Potrebbero venir dissolte, teletrasportate su un pianeta alieno, in modo da liberare la terra dagli umani, e permettere l’invasione extraterrestre. Non a caso, quel vecchio “tassì”, è pieno di roba (umana) dimenticata, che non serve più...

Bambino Boma (1962; pubblicato prima come singolo, poi nel 1968 nell’album “Le canzoni di Enzo Jannacci”) –
Prima, doverosa, domanda: che accidenti sarebbe un “Bambino Boma”? Un bambino 
intelligentissimo, geniale, anche troppo per essere un semplice umano. E poi? Non viene specificato molto altro, e ormai è chiaro come la pura acqua di fonte: il “Bambino Boma”, dotato di una mente da Superman (che, ricordo, proviene dallo spazio), è palesemente un alieno! Alla fine, in un verso troppo ambiguo, si parla di un “motore sfondato”: che motore? Forse il “Bambino Boma” stava progettando un marchingegno per la conquista della Terra...

La luna è una lampadina (1964; pubblicato nell’album “La Milano di Enzo Jannacci”) –
La luna è una lampadina: ma per quale motivo? E soprattutto, di chi o di cosa? Che sia la lampadina di una qualche razza di giganti alieni, alti come montagne, che permette loro di tenerci sott’occhio mentre progettano di invaderci?

Ohè sun chì (1964; pubblicato nell’album “Enzo Jannacci in teatro”, tratto dallo spettacolo teatrale “22 canzoni” scritto in collaborazione con Dario Fo) –
In questo oscuro brano, vengono narrate le peripezie di un “terrone” giunto al nord, ma molte cose non sono spiegate in maniera approfondita, e il tutto rimane molto misterioso... E se questo “terrone” fosse in realtà un alieno, giunto sulla terra per invaderci?

Jannacci, arrenditi (1977; pubblicato nell’album “Secondo te... che gusto c’è?”) –
Jannacci, arrenditi!: ma perché dovrebbe arrendersi? Chi è il tenebroso figuro che nel corso del brano gli intima la resa, urlando da un megafono, con una voce terribilmente minacciosa? E se fossero i “Men in Black”? Se avessero scoperto i messaggi nascosti nei suoi brani, e volessero costringerlo al silenzio? E poi: perché dovrebbero? Stanno forse aiutando gli alieni ad invaderci? Il mistero s’infittisce...

Piccolo (e doveroso) epilogo:

Sarebbero molti altri i brani compromettenti, ma (ahimè!) sono costretto a fermarmi qui, per mancanza di spazio. Vi ringrazio molto per l’attenzione concessami, e mi scuso se le mie analisi vi hanno intimorito o disturbato, ma capitemi: l’ho fatto a fin di bene! Ringrazio Jannacci e la sua genialità, che gli ha permesso di capire con anni d’anticipo come stessero le cose, e di far sì che il suo messaggio venisse promosso (e abilmente mascherato) attraverso le sue canzoni, che rimarranno nel tempo, sempre accanto a noi, per ricordarci il pericolo imminente che grava sui nostri capi. Ringrazio Claudio Nanni, mio unico editore di fiducia, per avermi permesso di diffondere le mie attente analisi su un argomento di primaria importanza, e far sì che arrivassero a tutti voi.

Cordiali Saluti;

Gianluigi Valgimigli

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