domenica 5 gennaio 2025

I MIEI RACCONTI - La birrata (2012)



GIANLUIGI VALGIMIGLI  

LA BIRRATA

Scritto e pubblicato per la prima volta nel 2012 

LA BIRRATA

“Ciò, allora, di birra ce n’è abbastanza direi, no?”
“Pigliane altre tre confezioni, non si sa mai, tanto quella porcheria economica lì non è altro che acqua lorda, quindi ce ne vuole un bel po’ per scaiarci, vai vai!”
Franco si chinò e raccolse altre tre confezioni di birra dallo scaffale, mettendole nel carrello della spesa.
“Allora, spetta che faccio il conto...” Aurelio aprì la borsa e prese in mano il cellulare “... dunque, fanno cinque virgola qualcosa a testa, famo cinque per te, dai!”
“Diobò, io con cinque euro mi ci facevo due settimane però, eh!”
“Ciò Franco, non so, boh, allora togliamo una confezion...”
“No dai va beh, va bene, via, dai!”
I due amici si diressero alla cassa, per pagare il conto e si misero ad attendere in coda.
A quell’ora, le sei pomeridiane, il supermercato era pieno zeppo di gente.
Franco si guardò attorno con disgusto.
“Sto branco d’imbecilli che viene qua, dopo il lavoro, tutte le sere, ci credi che li conosco quasi tutti? Fanno sempre le stesse cose, si alzano, vanno al lavoro e quando escono, ecco, vengono qua a fare la spesa...”
“Eh beh, oh, è così che si va avanti, no?”
“Io sto cercando un altro modo per farlo...”
Dopo circa cinque minuti, arrivò il loro turno.
Aurelio cominciò a disporre le confezioni di birra sul rullante, mentre Franco si piazzò all’altro lato del bancone, sacchetti alla mano.
La cassiera era una giovane ragazza dai capelli castani, decisamente carina.
‘tana madonna, a te ci penserei io, pensò Franco, guardandole prima il volto e poi il petto.
“Fanno dieci euro e ottantun centesimi” disse la cassiera, rivolta ad Aurelio.
Con una sporta per uno, Franco e Aurelio uscirono dal supermercato.
“Merrrrrda, che freddo s’è fatto....” esclamò Franco, battendo i denti.
Aurelio si guardò attorno.
“L’inverno sta arrivando, vecchio mio, anche quest’anno non si scappa...”
Il buio era ormai sceso su Faenza e una leggera nebbia si era formata, una nebbia gelida e bagnata.
Avanzavano al centro di un grande parcheggio.
“Vedrai, caro Aurelio, stasera ci scaldiamo, oh, se ci scaldiamo, ti faccio conoscere le due tipette che ho invitato, ooooh, le birre ci scaldano dentro e loro fuori, oooh!” Tagliarono per un vicoletto, un vicoletto pieno di cacche di piccioni, qualche cartaccia e varie cicche di sigaretta.
Qualcuno si era scolato una bottiglia di vino e l’aveva frantumata per terra.


I cocci, sparsi un po’ ovunque, pareva brillassero, al contatto con la nebbia. C’era un puzzo di piscio da far vomitare.

“Aurì, ma dove hai parcheggiato?”
Aurelio scosse il capo improvvisamente, come destandosi da un sogno. “Ho parcheggiato nella piazza delle verdure!” rispose all’amico.

Uscirono dal vicolo e attraversarono una strada asfaltata, dopodiché scesero le scale di un sottopassaggio.
Un neon si era del tutto fulminato, un altro si accendeva e si spegneva continuamente.

I muri, una volta bianchi, erano ora scrostati e coperti di graffiti e scritte più o meno oscene, FOTTI LA CRISI, L’ITALIA PIANGE, BERLUSCONI VA A CULO, e robe del genere, erano la manifestazione del malcontento di un probabile piccolo gruppetto di ribelli, che forse nasceva, in mezzo a quella generazione di giovani marionette senza motivo.

O almeno così piaceva pensare a Franco, uno sgorbietto basso e smunto, pieno di rabbia, alle spalle anni di insoddisfazioni di vario tipo e rapporti familiari ridotti all’osso.
Aurelio, bello e col fisico abbastanza ben piantato, se ne disinteressava totalmente. A lui piaceva il mondo dei giovani in cui viveva, gli piaceva la discoteca e altre cose che Franco odiava e trattava con cinismo.

Uscirono dal sottopassaggio e tagliarono per un parchetto, fiocamente illuminato da un lampione, la cui luce però non giungeva alle altalene, che rimanevano, immobili, nell’oscurità della sera.
Un vecchio passò accanto a loro, insieme a un cane grigio, anziano pure lui e dall’aria stanca.

Li superarono e poi se ne tornarono a scomparire nella nebbia, così, come erano venuti.
Franco riconobbe la vettura di Aurelio, parcheggiata al centro della piazzetta che tutti chiamavano “delle verdure”, dato che al mattino, durante i giorni di mercato, varie bancarelle vendevano ortaggi e robe simili.

“Bene Aurì, iniziamo mò a cargare la birrozza in macchina, che rischiamo di far tardi e le tipine ci attendono, ooooohhhh, vedrai, vedrai se son gnocche...”
“Ciò, lo spero per te, hai organizzato tutto sto ambaradan ormai da giorni ed è tanto che mi ripeti e prometti che stasera c’è la cuccata sicura, che lo spero proprio per te, vecchia carogna!”

Aurelio aprì il bagagliaio e Franco caricò le sporte.
Dopo una fumatina di cinque minuti, gli amici salirono in macchina e partirono. “Franco, sappimi dire per bene la strada per casa tua, c’è un nebbione...ti ricordi vero?”
“Massì dai, ciò, sono andato a vedere ieri, per sicurezza, tu a Riolo Terme ci sai arrivare, no?”

“Sì, a Riolo sì, ci andavo a scuola, ma poi però la strada per casa tua devi sapermela dire bene tu, no?”
“Ti ho detto che ho fatto un sopralluogo ieri, mi ricordo, orcodioz, mi ricordo, ho detto!”

La vettura uscì da Faenza e s’immise sulla via Emilia.
Le prime puttane iniziavano a uscire a quell’ora, Franco le guardava dal finestrino, c’era sta tipa bionda, carina, che saltellava davanti a un distributore di benzina abbandonato.
“Quindi Franco i tuoi genitori, a Riolo, hanno due case?”
“Eh, una verso la campagna e un'altra vicino alle terme, quella in campagna è più bella, perché è più grande, ma la tengono sempre affittata quei furbetti, noi stiamo andando in quella vicino alle terme, che è sempre vuota, è piccolina, un bilocale, ma per quello che dobbiamo fare basta e avanza, ci sono stato poche volte in quella casina, ieri ho girato un po’ per trovarla, ma devo dire che mi piace, mi ci vedrei abbastanza a viverci dentro...”
Detto questo, Franco si zittì all’improvviso e si mise a guardare fuori, in mezzo alla nebbia, pensieroso.

La casa dei genitori di Franco era piccola, ma molto carina e dall’aria accogliente. Aveva un aspetto ordinato, col suo bel giardinetto davanti, tutto recintato, con tanto di scale esterne che portavano a un terrazzino con la porta d’ingresso. Un bilocale strutturato come una villetta a schiera.

Faceva parte di un complesso di abitazioni, costruito intorno al 2000-2001, nella periferia di Riolo, vicino alle terme.
Ogni casa aveva le mura laterali in comune coi vicini, (eccetto quelle all’estremità del complesso, ovviamente) ma manteneva una propria indipendenza, grazie a un entrata privata.

La macchina di Aurelio si fermò nel parcheggio sul retro.
“Allora, donne” disse Franco, rivolto alle due ragazze sedute sul sedile posteriore “siamo giunti finalmente, scendiamo, via via!”
I quattro ragazzi scesero dalla vettura.
Si erano fermati a prelevare le tipe a Castel Bolognese, un paesino sulla Via Emilia, poco prima di Riolo. Erano due ragazze abbastanza carine, una mora e una castana, la prima portava i capelli sciolti, la seconda, raccolti in una coda di cavallo.
Quella mora era un pelino più piacente di viso ma aveva il sedere un po’ grosso, erano entrambe bassette e magre.
Aurelio e Franco scaricarono la birra e sporte alla mano, seguiti dalle ragazze, entrarono in casa.
“Allora amici e amiche” esordì Franco, appena si furono sistemati in salotto, attorno a un vecchio tavolo da giardino, ognuno con la prima birra in mano “siamo qui oggi riuniti per una particolare nottata di festa, che ho deciso di chiamare, la birrata,

come vedete il bere abbonda e abbonda tanto, ed è birra, tutta birra, dobbiamo bere, in questa notte, gente, bere ognuno alla salute del prossimo, bere e bere fino a scoppiare e a sentire il nostro cervello metter gambe e diventare un essere vivente a se stante, bere e dire cazzate fino a mattino, viviamo in tempi cupi, amici miei, viviamo in tempi tristi e depressi, tempi pesi e tesi, tutte le volte che a pranzo, i miei tengono la tv accesa sul tg, vedo un’Italia che si lamenta continuamente, in quella piccola scatola maledetta, lo schermo si tinge di rosso e ...”

“Maccheccazzo sta dicendo questo? Amico, sei già ubriaco” disse Aurelio, a mani giunte.
Le due ragazze sghignazzarono.
“Va beh” riprese Franco “uno cerca di fare un discorso epico e impegnato socialmente ed ecco che... va beh, è uguale dai, siete le persone che siete, d’altronde, comunque, in breve, questa notte ho organizzato questa birrata, per bere e bere fino a scoppiare, alla faccia di tutto quello che ci sta succedendo attorno, perché la testa mi fa male e lo stomaco pure, ma non riesco a non pensare e nemmeno a vomitare, quindi mi serve proprio scaiarmi fino a raggiungere entrambe le cose, quindi via, via con la prima birrozza, alla salute dell’Italia!”

Le lattine di birra, furono aperte, con un sonoro schiocco.
Aurelio si chinò verso la tipa mora, che gli sedeva affianco.
“In realtà, mia cara, lui sta solo usando paroloni e paroloni, ma sono scuse, in realtà quello che vuol fare è ben altro, lui vuole brindare alla salute delle grazie tue e della tua amichetta, te lo dico io, te lo dico...”
La ragazza gli sorrise e gli diede uno schiaffetto sulla faccia.
“Comunque, come ti chiami, carina?”
“Claudia”
Franco, all’altro lato del tavolo, cercava d’intrattenere un discorso con la ragazza castana.
“Allora Giorgia, quand’è che mi vieni a vedere suonare col gruppo, eh?”
“Ah, tu suoni? Ma dai, cosa suonate?”
Il primo giro di birre fu in fretta consumato, veloci le schiene si piegarono, rapide le mani aprirono altre lattine.
L’ora si era fatta tarda, continuavano a bere e a bere, cominciarono a parlare forte e a sghignazzare come pazzi.
Ad un tratto, si sentì una serie di colpi secchi, provenienti dal muro vicino a loro.
“Ehi, ma che è?” chiese Giorgia.
Franco sbuffò sonoramente.
“Ooooooh, nooo, ma che due, sono quei coglioni dei vicini, ma che due maroni, non ci posso credere, devono avere qualche problema di stizza, mi ricordo che un tempo, quando stavo con una tipa, l’avevo portata qua a far roba pesa e quegl’imbecilli avevano iniziato a bussare al muro, perché le molle del letto cigolavano, ma vi rendete conto? Eh? Per le molle del letto! La gente ha dei problemi seri in testa,

purtroppo, è sempre stato così, boia ed giuda! Non caghiamoli, prima o poi smettono, imbecilli!”
E così, senza badare a niente, ricominciarono a parlar forte e a ridere, il tutto innaffiato da un’altra buona dose di birra.

Aurelio aveva messo un braccio intorno al collo di Claudia, l’altro era passato sotto al suo maglioncino e con la mano le palpava una tetta. Limonavano appassionatamente.
Si staccavano per succhiare altra birra dalla lattina e poi tornavano a baciarsi.

Franco batteva i pugni sul tavolo e ululava, ridendo a crepapelle.
“Vai Aurì, spupazzatela tutta, AHUUUUUU, ahahhahahaha!!!”
BOM BOM BOM, un’altra serie di colpi al muro, da parte dei vicini, gli fece eco.
Partì, in risposta, un’altra serie di pugni al tavolo.
Giorgia, si piegava in due dal ridere e vaneggiava a vanvera.
“Ahhhahahah, il mio gatto ha preso il volo dalla finestra, la mia compagna di stanza si era veramente infuriata, hahahahah, gli aveva cagato sui pantaloni, ahahaha!” Franco smise di picchiare sul tavolo e iniziò ad accarezzare la coscia destra di Giorgia. “Oooooh, Giorgia, mia cara, mammamia, il tuo povero gatto, dalla finestra, quel povero gatto...mamma...mmmmh” cominciò a ripetere, mentre con la mano saliva e saliva sempre più su e dalla coscia, arrivò in fretta all’inguine e infilò la mano sotto ai calzoni della ragazza che, in fretta, passò dal ridere, al gemere.
Gli schiamazzi salirono di tono.
“A-ah, non si fa!” disse Aurelio rivolto a Franco e ridendo, sfilò il maglioncino di Claudia.
La ragazza portava un reggiseno di pizzo, colore rosso.
Giorgia, continuando a gemere, pensò bene di ripagare il favore a Franco e con la mano destra, cominciò a darsi da fare.
Le lattine si stavano accumulando, sul tavolo, tante lattine vuote, qualcuna era rotolata a terra.
Aurelio bevve un altro lungo sorso dalla lattina e poi, la capovolse sul seno di Claudia, che spalancò gl’occhi e lanciò un grido.
“ ‘desso te la bevo dalle tette, te la bevo, bevo il latte al gusto di birra delle tue tettone!” detto questo, il ragazzo tuffò il volto tra i seni bagnati.
Risate e gemiti, gemiti e risate e schiocchi di lattine che venivano aperte, rumore metallico di lattine gettate a terra.
BOM BOM BOM, i colpi al muro, ora si erano fatti molto violenti, pareva che i vicini si stessero spaccando la ossa delle mani, su quella parete.
“Adesso li metto a posto io, i rompi palle!” sbottò Franco, innervosito, alzandosi in piedi, con i pantaloni abbassati e il pennone al vento.
Prese una scopa dal ripostiglio e cominciò a battere furiosamente, col manico, sul muro.
SBADABOM SBADABOM SBADABOM BOM BOM!!!

“ALLORA, BRUTTI PEZZI DI MERDAAAA, AVETE ANCORA DA ROMPEREEEE??? EH??? BASTAAAAAA, VAFFANCULOOOOOO!!!!!!!! IO NELLA VITA VOGLIO FARE QUELLO CHE MI PAREEEEE!!!!!”
I ragazzi, alle sue spalle, avevano le lacrime agl’occhi, a forza di sghignazzi.

Franco si fermò, in attesa. Nulla, nessuna risposta, dalla casa a fianco.
“L’hanno capita, l’hanno!”.
Gettò la scopa a terra e tornò a sedersi, aprendo altre due lattine.
“Forza baby” disse rivolto a Giorgia “tieni, succhiatela tutta e torniamo ai nostri affari!”

“MMMMh, non mi va mica tanto sai, mi sento un po’ male, mi viene su tutto...” “Allora fatti questa e mandalo giù, quel tutto!”
“No tesoro, veramente, mi sento proprio male, mi gira tutta la stanza...ho una nausea...”
“Bevi e passa, dai, non vorrai mica lasciare tutto qua, no? Ce n’è ancora tanta di birra, bisogna scolarla tutta, vai vai!”
Franco premette la lattina sulle labbra della ragazza, la quale le tenne ben chiuse.
La birra le scese giù per il collo, infilandosi sotto alla maglia.
“ Eddai, così la sciupi, va bene che è birra da trenta centesimi, però, daiiii!!!” Controvoglia, Giorgia prese in mano la lattina e iniziò a berne il contenuto, con un espressione di disgusto sul volto, mentre Franco si accucciava ai suoi piedi, sotto al tavolo e le sfilava scarpe, calzini, pantaloni e infine mutandine.
La tipa rimase vestita della sola maglia.
Aurelio, intanto, aveva levato il reggiseno a Claudia e continuava a versarle birra sul seno e a succhiargliela via.
Non si udivano più colpi, dalla casa di fianco, forse i vicini l’avevano capita sul serio. Gli amici continuarono la loro birrata, in tutta tranquillità.
Giorgia alternava schifate smorfie date dalla birra, a lievi sospiri di piacere, dati dal lavoro di Franco, che alternava le furberie tra le sue gambe, ai lunghi baci alla lattina. Claudia, dopo essersi riempita lo stomaco per bene, con l’abbeveraggio, aprì la patta dei jeans di Aurelio e si chinò su ciò che ne uscì, a bocca aperta.
Ci si dava dentro tranquilli, quando all’improvviso e inaspettatamente, DRIIIIIIIIIINNNNN, il suono del campanello...
Franco, col cuore in gola, sobbalzò e sbattè forte la testa contro il tavolo.
Cacciò una bestemmia.
Giorgia gettò la lattina a terra, la birra si sparse sul pavimento e scattò in piedi. Ebbe un improvviso capogiro e per non svenire, si appoggiò sul tavolo.
“Noooo, la birraaaa!!!” gridò Franco, fissando la lattina che, a terra, continuava a spargere il liquido ambrato, sulle piastrelle.
Aurelio staccò Claudia, tirandola per i capelli e rinfoderò l’arma.
“Ahahaha, ma che succede, oh?” bofonchiò la ragazza, guardandosi attorno smarrita, con un sorriso ebete sul viso.

Il campanello strillò nuovamente.
Franco, a carponi, si portò alla finestra e alzando un poco la tenda, guardò fuori.
Una vettura della polizia era parcheggiata in strada, di fronte alla casa, due poliziotti stavano davanti al cancellino d’entrata.
Uno alto e uno leggermente più basso. Quest’ultimo, suonò nuovamente. “Meeeeeerda, la poliziaaaa!!!”
Aurelio si alzò in fretta.
“Franco, corri, dobbiamo nascondere le lattine di birra, forza!”
“Sotto al lavello, forza, sotto al lavello, in fretta!!!”
I due amici iniziarono a raccogliere le lattine di birra e a buttarle sotto al lavello. Claudia rideva da matti, mentre Giorgia si teneva lo stomaco e fissava la birra che aveva rovesciato, continuando a ripetere, “mi dispiace, mi dispiace...” .
“Cosa fate voi due ancora nude??? Forza, vestitevi, sceme!!!” urlò Aurelio, rivolto a loro.
Forti colpi alla porta, i poliziotti avevano scavalcato il cancellino.
“APRITE, POLIZIA, APRITE IMMEDIATAMENTE!!!”
Franco guardò l’amico.
“Prendile e portale di là, in camera!”
Aurelio non se lo fece ripetere, le prese per mano e le portò nella camera da letto. Le ragazze si lasciarono condurre, senza obiettare.
“POLIZIA, APRIT...”
La porta fu spalancata.
“Ehm...s-salve...” sussurrò Franco, rivolto agl’agenti.
“Perché ci hai messo tanto ad aprire, eh? Io lo so chi sei tu, i tuoi genitori sono di Faenza, vero?” chiese l’agente alto.
“Sì”
“Ci hanno chiamato i tuoi vicini e ci hanno detto che tu e alcuni amici facevate un po’ di rumore...”
“Beh...ecco, noi... un mio amico si è laureato, e quindi, abbiamo fatto una festicciola...”
L’altro agente stava muto, fissava Franco trucemente. Devono sempre mostrarsi grossi e cattivi, loro.
“E adesso, cosa dobbiamo fare, eh? Dobbiamo mettere giù tutto a verbale, eh? O il casino finisce qui e subito, eh?”
“No no, non è il caso, guardi, è tutto finito, a posto così, e tardi e i miei amici ora se ne vanno, ok?”
“Bene, ma che sia vero però, se no...”
“Sì, agente guardi, tutto a posto! Volete venire dentro, volete qualcosa, che ne so, da bere?”
L’agente più basso parlò per la prima volta.
“Un bicchiere d’acqua non mi darebbe fastidio!”

Franco li fece entrare, maledicendosi per la sua solita e inutile cortesia di circostanza. “Qui per terra, si è versata un po’ di birra, mi pare...” notò l’agente alto.
“Eh sì, abbiamo bevuto un bicchierino di birra e una mia amica l’ha rovesciata per sbaglio, avevo poggiato il suo bicchiere sull’orlo del tavolo e con il gomito l’ha urtato e...”

“Sono di là i suoi amici, adesso?”
“Sì, una mia amica è in bagno, penso abbia un po’ di diarrea, è tutta la sera che si lamentava del mal di pancia, l’altro mio amico, il laureato, è di là in camera con la sua morosa, che stasera hanno un po’ litigato e adesso si stanno parlando in privato, ma niente litigi rumorosi, giusto una piccola discussione sottovoce, eheeh!”
“Ah, io li conosco bene i tuoi di Faenza, sono brave persone!”
“Ah, sì, molto brave, grazie!”
In quell’esatto momento, dall’altra stanza uscì Claudia, con Aurelio che le correva dietro.
Franco lanciò a quest’ultimo uno sguardo diperato, l’amico alzò le spalle e aggrottò la fronte.
La ragazza era ancora a seno nudo.
“Oh, che bello, salve agenti!!!” cominciò a ridere e si levò i calzoni e le mutande, di fronte ai poliziotti, lanciandoglieli poi, contro.
Gli agenti fecero un balzo indietro, sorpresi.
“M-ma, ma cosa???” esclamò quello più basso.
Claudia gli si gettò contro, con le mani alzate.
“BRUTTI FIGLI DI PUTTANA, POLIZIA DI MERDA, ROMPICAZZO, ANDATE A FOTTERVI A VICENDA!!!”
Aurelio riuscì a prenderla e la strinse tra le braccia, cercando di calmarla.
“FACCE DA CULO, ANDATE A ROMPERE AD ALTRIIIII, NOI VOGLIAMO FARE CASINOOO, CASINOOOO, CA-SI-NOOOOOOOOOO!!!!”
Claudia si liberò e saltò addosso all’agente basso, iniziando a tempestarlo di pugni sul capo.
L’altro poliziotto l’agguantò per i polsi, glieli torse dietro la schiena e la piegò sul tavolo, faccia contro.
La ragazza continuava a sbraitare, a inveire e dimenarsi, ma la presa dell’uomo era salda.
“BASTA, FUORI TUTTI, ADESSO VENITE CON NOI, VIA, CONTRO IL MURO, TUTTI!!!” Gli amici obbedirono.
“Forza, ce n’è anche un altro no, un’altra ragazza, no? Adesso vi portiamo in centrale e poi chiamiamo i vostri genitori! Seguite il mio collega in auto!”
Giorgia saltò fuori, caracollando e tenendosi lo stomaco e piangendo come una fontana. Si era rimessa i pantaloni.
“Mi dispiace, mi dispiace...” continuava a ripetere, tra le lacrime.
L’agente più basso le si avvicinò.

“Ma che hai tu? Ti senti male?”
La ragazza frignava e frignava e si massaggiava la pancia.
“Ehi, ti senti male, cos’hai?”
Per tutta risposta, Giorgia spalancò la bocca e gli vomitò in faccia.

Gianluigi Valgimigli

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