PER MIO FIGLIO – UN FLUSSO DI COSCIENZA DI SERIE B
di Gianluigi Valgimigli
Pubblicato originariamente nella raccolta di racconti "Ravenna in Amore" (Claudio Nanni Editore, 2019)
Mario, le cose non sono andate esattamente come volevo, ma siamo ancora in piedi; sarebbe da
ipocriti, ora, fingere le rose e i fiori solo perché tante persone mi stanno leggendo, quindi non
intendo scordare le lacrime, il dolore, le difficoltà, le scope in testa, la porta della mia camera
sfondata, le mani traditrici morsicate, la mia giovane mente cretina plagiata da scrittori sbagliati e le
notti di furberie nei vicoli lordi e nelle auto nei parcheggi occulti, quando vivevo solo per fare
dispetti e sputare sul centro beccato; a diciannove anni non avevo capito nulla – forse non potevo,
ma non voglio giustificarmi: ho fatto tesoro di ogni mio sbaglio, e sono diventato uomo –, ma,
come detto in precedenza, siamo ancora in piedi, e forse questo è tutto ciò che conta…
Mario, la Moretta non mi ha voluto perché ti ho fatto, ho perso alcune scopate sicure; all’epoca
piangevo dal nervoso e partivo di mattina con la vanga sulle spalle – sentivo i cani parlare e le loro
parole mi incitavano all’atto, col vecchio fucile di mio nonno che gridava il mio nome e la
zingarella con due tuguri affittati –, ma poi, un giorno, mi sono accorto che la tua mano accarezzava
la mia, e ho pensato: “Dunque, potrebbe avere ancora un senso, dopotutto…”
Mario, il blues dell’ospedale di Faenza mi è piovuto addosso all’improvviso, quando ancora il mio
pensiero principale era riuscire a superare un dungeon in Zelda; tu, con il cuore e il palato distrutti,
dentro a una teca di vetro, una cicatrice sotto un’ascella a tre mesi e una in pieno petto a cinque, che
pareva ti avessero sparato, riuscivi ancora a guardarmi sorridendo – e trovavo strano quel sorriso…
non capivo come potesse sciogliermi il cuore con tanta facilità, manco fosse quello di una bella figa
–; le notti insonni a controllare un fottuto sondino che ti scorticava il naso, un anno intero passato a
mangiare da una narice, mentre fuori, nei freddi e bui vicoli faentini, una nuova regina dei
cassonetti nasceva, e un’oscura figura cominciava ad aggirarsi per le strade, capelli lunghissimi,
barba incolta e chitarra in spalla, a cercare una notte che fosse un po’ meno cupa, anche solo di
pochissimo.
Mario, riesco a scrivere questo solo dopo la terza birra – sono un romagnolo vecchio stampo: fiero,
burbero, orgoglioso e tanto, ma tanto, patacca! – e devo sbrigarmi, prima che la magia finisca, passi
la leggerezza e torni la cupezza che tanto mi è amica, anche se è un’amicizia che non ho mai voluto;
quindi… ricorderai un giorno, quando ormai avrai già fatto la tua scelta, le camminate dell’estate, in
campagna, col buon vecchio Blue, signorino dei lordi, fino al lotto di terra – grande conquista dei
miei, dopo un’intera vita passata a suon di rinunce e schiene spezzate, ultimo traguardo del loro
percorso su questa terra, dopo tanta sopportazione e denti stretti fino a creparli, gengive sanguinanti
– del quale un giorno sarai proprietario, quando io diverrò cenere sparsa dal cuore della Balda, al
centro della grande vallata, lassù, al Rifugio dell’Anima, dove il Falco ci veglia e le bugie del Lupo
non sono mai arrivate.
Mario, ogni tanto, capita che qualche torella da monta commetta peccato davanti a Dio, sposandosi
in chiesa col vestito bianco, quando anche il rosso sarebbe poco – è gente che non dovrebbe manco
entrarci in chiesa, cristo! –; questi maledetti “amori da Mc’Donalds”, coppiette ipocrite, false
famigliole felici: si mettono in mostra, le bestie da circo! Mariti cornuti, accarezzano la mano
impura, unta di grasso d’hamburger, della propria mogliettina/scemettina da passeggio, credendo
vada tutto bene, completamente ignari delle macchie che incrostano i cuscini su cui la sera, dopo
una massacrante giornata passata a spaccare pietre, con la catena al piede, poggiano i capi stanchi.
Mario, un giorno non potrò più chiamarti piccolo Pitti; Mario, a volte non è facile guardarti in
faccia e vedere i lineamenti di tua madre, ma il seme fu piantato quando ancora i letti non erano
disfatti, quindi, in fondo, va bene così; Mario, quel pomeriggio in cui, finalmente, le carte furono
scoperte e capimmo, con rammarico, di aver puntato troppi soldi, perdendo al bluff, ti ringrazio per
aver stretto forte, a quel campo di battaglia che hai per petto, il tuo agnellino di peluche; Mario,
l’amore morì in un comunissimo appartamento di Cotignola, come tanti ce ne sono, per mano di un
comunissimo individuo, come troppi ce ne sono, e della sua cuginetta furbetta – casalinga
professionista –, che accolse ciò che di giusto lui aveva da offrirle, imparando con piacere quella
dura lezione; ma tu non sei morto, no, tu sei qui, più vivo che mai, e se a cinque mesi riuscisti a
sopravvivere a un intervento a cuore aperto, allora, beh... sei più forte e vigoroso di quanto il tuo
sciocco padre – mammò – potrà mai essere. Basta, mi fermo qui.
Faenza, luglio 2018; gloria eterna agli scrittori di serie B!
Gianluigi Valgimigli
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