domenica 5 gennaio 2025

I MIEI LIBRI - Sotterrano al chiaro di luna - Quadrilogia Faentina, Vol. 2 (romanzo; 2016)

 

 

SOTTERRANO AL CHIARO DI LUNA (Quadrilogia Faentina, Vol. 2) - di Gianluigi Valgimigli - versione anteprima

 

Dedicato
a tutti i
matti positivi
d‟Italia
perché
nonostante tutto
fortunatamente
ancora esistono



PREFAZIONE di Paolo Cutrì
“Sotterraneo al chiaro di luna” è un moderno romanzo
sociale che indaga, attraverso il suo vibrante realismo,
uno squarcio di vita disadorno e parallelo: la quotidianità
di un gruppo di giovani che vivono ai margini di una città,
nella ex zona industriale, in un suburbio dimenticato.
La loro sofferenza, però, non è ascoltata; è sordo il lieto
esistere di chi non appartiene a quel contesto. La
delinquenza, la droga, il sesso smodato scandiscono con
amarezza le note del narrato. Le parole si spezzano
nell‟urlo improvviso di dolore, divengono versi blues,
citazioni americane, sogni di gloria e di libertà, ricerca di
una terra migliore dove poter affermare con
determinazione le proprie idee, il proprio valore.
Poeta, musicista, sognatore, Franco Panetti è il non – eroe
del romanzo, è l‟immagine di un giovane fuori posto,
scollato dal contesto in cui si trova, che si arrende alla
vita, che pur tenta di dominarla, ma che a sua volta ne
viene carpito, sottomesso, amaramente oppresso.
I personaggi rappresentati sono trasandati, divengono
metafora della periferia “una pattumiera a cielo aperto”
che dimentica i cittadini prima e li accusa poi di essere
come sono, come il tempo e la società li hanno
trasformati: “c’era Tommaso, sempre vestito uguale,
marcito all’interno di un cappotto impolverato che
indossava da ottobre a febbraio”.
Il linguaggio è volutamente scurrile, duro, effettivo,
macchiato di volgarità, con l‟uso di termini dialettali,
tratti dal parlato (truzzetti, sassata, inciciuito), elementi
questi che riconducono il narratore a una sorta di
regressione linguistica, e vengono adottati dall‟autore per
uniformare la rappresentazione verosimile della realtà.
Gli aspetti contrastanti di questa esistenza, sotterranea,
cadenzano l‟incedere dinamico del racconto: le azioni e le
conseguenze di ogni scelta si ripercuotono sempre sulle
persone destinate a un non – futuro.
La città industriale abbandonata ne diviene la
personificazione inquieta, paradiso delle oscenità, della
perversione, raffigura emblematicamente la condizione
sociale disagiata e deviata di un nucleo di dimenticati che
vivono in un garage, denominato “la villa”, in uno stato
di dannazione continua, dove la vita sembra aver scordato
degli uomini: sono quelli che avrebbero voluto cambiare
il mondo, ma che ne vengono inghiottiti, digeriti e poi
vomitati come scarti inutili e servi di loro stessi, dei propri
piaceri sessuali, dei propri vizi, della droga.
Essa, con le sue mille sfaccettature, è colta dall‟autore
nella forma meno conosciuta dai più, è impressa in un
quadro realistico di degrado. Appare nella sua
raffigurazione più crudele, cruenta e delittuosa, quasi
spingesse i personaggi a viversi e a viverla nei modi
tracciati, perché le colpe del dolore devono pure
appartenere a qualcuno o a qualcosa, e proprio città e
società diventano colpevoli delle scelte errate di chi si è
dichiarato “contro” il conformismo, che tende ad
appiattire le coscienze, e “contro” il sistema, che vuole,
nel suo implicito interesse, livellare le menti al ribasso,
rendendole succubi e incapaci.
Paradossalmente, la discarica, intitolata “mani tese”,
assume i contorni mondani di un luogo in cui
rintracciare pezzi di vita, oggetti gettati via da chi non se
ne serve più: così appaiono i nostri personaggi, “gettati
via”, diseredati del nuovo millennio, inutili e di peso per
una collettività che non va oltre il perbenismo e non vede
o tace condizioni di vita al limite della sopravvivenza.
La musica è uno sfondo concettuale del romanzo, il blues
diviene al tempo stesso medicina e causa del malessere:
proprio quando Franco era riuscito a mettere a tacere la
schizofrenica voce del suo male, chiamata “il porco”, e
aveva trovato in Elisa - la ragazza disabile, che
consapevolmente, in una notte brava, si lascia stuprare dal
branco, per provare, almeno una volta il piacere, a caro
prezzo, del sesso - la mappa per leggere il mondo; proprio
il blues e la poesia, incomprensibili per lei, distruggono
quel momento di pace e di silenzio che il nostro
protagonista era riuscito a rintracciare.
Come in un contrappasso perverso e scellerato, il torto
subito da Franco Panetti si ritorce per divenire la propria
condanna, la pena da scontare per un vuoto esistenziale
che non fa sconti a nessuno, tanto meno a lui, vittima di un
amore tradito e di una coscienza vivida che “urla” il
proprio dissenso. Proprio il sesso, gli intrecci convulsi di
amplessi infernali divengono il modo, consapevole, per
espiare la propria sofferenza, ma sottintendono un
multiverso non catalogabile, bensì caratterizzato da gesti
estremi, da una deriva sociale esasperata.
Così come appare illogico che la pena con cui espiare la
propria sofferenza sia il torto subito, il paradosso si
evidenzia maggiormente nel momento in cui il leader del
gruppo, soprannominato “Il Fatto”, spiana la via, con
strali di morte, al nostro protagonista verso una scelta
obbligata, migliorativa, ma che non conduce a un
rinnovamento interiore o morale e si rivela una nuova
sconfitta, un altro colpo basso che decreta l‟ultima sfida,
quella per la vita.
Il mondo delineato da Gianluigi Valgimigli si corona di
eventi stratificati che non permettono ai giovani di
emergere dallo stallo in cui si trovano, ma concorrono a
realizzare un‟involuzione che non porta al cambiamento
favorevole delle condizioni di vita, bensì a un distacco
dalla società, verso un perfido continuo divenire
ineluttabile.

Paolo Cutrì


INTRODUZIONE di Marco Ferrari
Come si fa a non affezionarsi ai personaggi dipinti da
Gianluigi? Per quanto squinternati e repellenti possano
essere descritti, è impossibile non provare per loro dei
sentimenti diversamente convenzionali.
La sua mano tesa ci accompagna in un viaggio sul crinale
dell‟abisso esistenziale, dicendoci “Vieni, non aver paura
che ti tengo io” e insieme a lui ci avventuriamo in una
Faenza metropoli in miniatura di cui ama la fisicità, le
pietre, gli scenari, anche quelli più improbabili ed
assolutamente fuori dagli itinerari turistici. La strada è
ancora una volta la protagonista, forse l‟unico ambiente
rimasto indipendente dal rincoglionimento tecnologico
degli smartphones e della socializzazione virtuale di
Facebook di merda, la rovina del mondo.
Nel romanzo Aspettando il cielo, i personaggi animati da
Gianluigi avevano scoperto un “Rifugio dell‟Anima”
sulle colline faentine, a quell‟altitudine in cui si comincia
a respirare profumo di montagna: in Sotterraneo al chiaro
di luna un elastico maledetto trattiene i protagonisti nel
dannato cerchio che un compasso centrato sulla stazione
fa arrivare al massimo alla periferia di Faenza, la città
bassa dove si agita una fauna di delinquenti e
tossicomani, dove con disinvoltura si muovono le sue
creature da zoo di Berlino.
Gianluigi ci ribadisce che a vivere in pianura non c‟è
scampo. Lo dimostra il fatto che i tentativi di dialogo tra i
personaggi del romanzo sono assolutamente improduttivi:
non ci si capisce, neppure quando si cerca
coraggiosamente di ascoltarsi l‟un l‟altro. Le distanze tra
gli individui sono ormai incolmabili. Il loro ciclo vitale è
paragonabile a quello di qualsiasi altra specie inferiore,
governato da un dio subdolo chiamato Sistema. Quello a
cui Franco è allergico è il contatto con la gente,
l‟ammasso di individui con cui non si sente in comunione,
di cui non condivide né il modo di vivere, né le
aspirazioni. Il culmine in questo senso lo raggiunge
quando si riduce a parlare col figlio, malgrado sia troppo
piccolo per comprendere le sue pillole esistenziali, ancora
troppo piccolo per assorbire l‟amaro verdetto del padre su
di una vita percepita come un dispetto e vissuta come un
assaggio dell‟Inferno.
Ma come sfuggire ad un destino insulso, confinati in
un‟Italia fatta di gusci vuoti e puttane, ostile alla
diversità? Scappare nell‟unico angolo del Pianeta degno
di essere abitato: l‟America. Non quella degli hamburger
e degli smartphones collegati a quello che resta del
cervello, ma quella che parla il linguaggio delle note
graffianti del blues. Sì, è la musica la chiave della
salvezza, anzi fare musica è l‟antidoto per sconfiggere i
morsi velenosi dei ricordi. E ogni capitolo del romanzo si
trasfigura in un inno al blues, la musica dell’anima.
Spettacolare la danza collettiva attorno al lamentoso
esternare del blues da mal di stomaco, quello che possono
permettersi di declinare solo quelli che hanno amato e poi
hanno perduto un amore. Come falene attirate dalla luce
di un lampione, personaggi da presepe urbano si
avvicinano al nostro Franco, la fonte di tanto artistico
dolore.
Come se non bastasse essere circondato dalla variopinta
fauna del Fatto, della Monta, Samuele, Tommaso, Andrea
e della stessa Elisabetta, Franco si trova a combattere una
guerra civile al suo interno con il porco nella sua testa: la
sua personalità è sdoppiata ed in lotta col suo alter ego, ma
sinceramente non è così netta la distinzione dei ruoli tra
gli eventuali dottor Jekyll e mister Hyde.
Se nel romanzo Aspettando il cielo una generazione persa
restava in equilibrio su se stessa in sfiduciata attesa, in
Sotterraneo al chiaro di luna ci rendiamo conto che è già
stato oltrepassato il punto di non ritorno. L‟homo
insapiens si è ormai bruciato il futuro sacrificando tutto il
fossile a sua disposizione al dio della combustione,
superando la fatidica quota delle 400 parti per milione di
anidride carbonica nell‟atmosfera, ragion per cui il
pianeta Terra non sarà più in grado di arrestare il suo
devastante surriscaldamento: allo stesso modo l‟Umanità
di Gianluigi ha svuotato le sue tasche, ha giocato tutte le
sue carte, è nuda. Dobbiamo solo imparare ad amarla così,
senza aspettare che un giorno cambi, perché i calendari
vecchi non vanno più bene, sono da buttare via.

Marco Ferrari


PREMESSA di Claudio Nanni
Con determinazione Gianluigi Valgimigli propone il suo
progetto di “quadrilogia faentina” pubblicando questo
secondo romanzo “Sotterraneo al chiaro di luna”, il cui
scenario resta immancabilmente la città che
apparentemente egli ama e odia appassionatamente:
Faenza. Una Faenza crepuscolare, notturna, che già si
differenzia da quella del suo primo romanzo, “Aspettando
il cielo”, dove la città aveva ancora il sapore di una delle
tante località italiane, mentre la compagna e in particolare
la brumosa collina correva sui binari di un immaginario
Far West fra luci e ombre.
Il gruppo di amici è cambiato, non sono più gli stessi
sognatori, arrabbiati che sperano in un mondo migliore.
Nel “sotterraneo” Faenza si trasforma nei torbidi
bassifondi di una città metropolitana come potrebbe
essere New York, Los Angeles, o quantomeno Roma e
Milano. Qui il gruppo di amici è costituito da personaggi,
appartenenti ad un sottoproletariato subculturale,
disoccupati (o meglio: senza lavoro), disadattati, dilaniati
dall‟abbruttimento di “una vita violenta” (come direbbe
Pasolini), ai margini di una società complessa come
questa contemporanea, in cui non hanno saputo integrarsi
o, più negativamente, adattarsi e che, allo stato attuale, li
rifiuta e li emargina, stigmatizzandoli per la loro
“diversità”. Ecco il loro vivere in una misera periferia
industriale, arida di stimoli positivi, in un cupo garage
abbandonato che diventa la loro misera tana, che ospita il
loro squallore e la loro depravazione, fra droga e stupri,
risse e violenze, solitudine e depressione: una realtà
ambientale in cui imperano violenza, aggressività e
devianza fra gruppi di vagabondi che faticano ad
amalgamarsi socialmente anche fra loro, spesso rendendo
conflittuali i tentativi di interazione.
Franco, il personaggio principale, è un angelo caduto, un
giovane hipster dal sogno americano, appassionato
amante del blues delle origini, di cui è cultore. Piuttosto
incoscientemente egli ha avuto un figlio da una ragazza di
scarsi principi, che ama con passione, ma che lo tradisce
spudoratamente con altri ragazzi della sua stessa risma. Il
bimbo viene allevato dai genitori di Franco per la sua
incapacità a crescerlo autonomamente.
Infatti anch‟egli, come gli altri del branco, non lavora, non
ha un reddito che lo renda autonomo e economicamente
autosufficiente, per cui egli resta in un vuoto di solitudine
assordante in cui covare il proprio autolesionismo nella
rabbia ribelle e provocatoria contro quella che considera
una società conformista e borghese, che contesta
aspramente.
Franco è un‟anima sofferente di un‟inquietudine antica,
ormai quasi congenita, approdata casualmente su questa
terra, in cui non appartiene né al gruppo di squinternati, né
alla società “normale” degl‟integrati. Vive come in un
“limbo” di trasgressione quasi casuale, in cui l‟ambiguità
dello spirito gli consente di subire la sodomia come
punizione necessaria per espiare la colpa, il peccato
originale, per poter continuare a vivere o morire.
Egli trova un affrancamento, come redenzione e
liberazione dall‟ autolesionismo che lo sta divorando, nel
rapporto con una ragazza inferma, Elisa, di cui ha assistito
al traumatico stupro di gruppo, un‟orgia provocata dalla
stessa ragazza, protagonista consapevole che in
condizioni di normalità non avrebbe perso quella
verginità che non vuole portarsi nella tomba.
Il romanzo di Valgimigli offre uno spaccato di vita in cui
emergono aspetti di una sessualità inquinata da
espressioni di erotismo sado-masochista in cui la
perversione sembra all‟ordine del giorno. Eppure il
romanzo in sé non si può affatto definire un romanzo
erotico, in quanto in esso prevale la denuncia sociale e
l‟aspetto socio-antropologico, che riguardano il presente
contemporaneo, con le proprie discutibili anomalie
riguardanti gli studi sui processi di socializzazione ed
integrazione nei comportamenti devianti secondo
paradigmi articolati che comprendono tratti ambientali,
psicologici, sociali oppure biologici, pertanto genetici ed
ereditari, ma anche razionali.

Claudio Nanni


NOTA DELL’AUTORE di Gianluigi Valgimigli
Quello che stringete tra le mani, è il secondo volume di un
ciclo di quattro romanzi ambientati a Faenza, e
raggruppati sotto il nome di “Quadrilogia faentina”.
Concepito di getto in sei febbrili giorni quasi insonni
dell‟inverno 2013, rinchiuso in un appartamento a Riolo
Terme e tirando avanti mangiando solo noodles istantanei
o scatolette di tonno una volta al giorno, Sotterraneo al
chiaro di luna si svolge cronologicamente un anno dopo il
mio primo romanzo, Aspettando il cielo (Gingko edizioni
- maggio 2014), e si incentra sulla figura di uno dei suoi
personaggi principali: Franco. Mentre ero impegnato
nella scrittura di questo secondo libro, avevo consegnato
il precedente all‟editore ormai da un anno, ed ero quindi in
attesa della sua pubblicazione; fu proprio in quel periodo,
che nacque in me l‟idea di creare un ciclo di romanzi che
raccontassero storie di personaggi residenti (o che
agissero) nel faentino e dintorni, e siccome l‟uscita di
Aspettando il cielo era ormai imminente, decisi che quello
sarebbe stato il primo capitolo del ciclo, e il nuovo
romanzo che con tanta agitazione stavo vomitando sulle
pagine in quei giorni, il secondo. Successivamente, decisi
che il ciclo avrebbe contato in tutto quattro romanzi: da
qui il nome “Quadrilogia faentina”. Bene!, illustrato il
mio progetto, concludo questa breve premessa
augurandovi buona (o cattiva, dipende da voi) lettura, e
ringraziando Paolo Cutrì per la prefazione, e Marco
Ferrari per l‟introduzione; un sentito ringraziamento va
inoltre al buon vecchio Claudio Nanni, mio unico editore
di fiducia, per supportarmi da sempre. Ciao! ;-)

Gianluigi Valgimigli


 

 “... e il blues viene giù,
bambina,
come una doccia di pioggia...”
Charley Patton, Pony Blues 

 

PROLOGO: LOCK STEP BLUES

Camminando con passo lento e strascicato, come avesse una palla al piede, Franco percorreva il grande viale che dalla piazza va all‟ospedale. Faenza tremava di freddo, in quella notte di pieno dicembre; e lui con lei. Gli edifici scorrevano ai lati della strada: centinaia e centinaia di appartamenti, accatastati uno sull‟altro, dove la gente viveva, fitta come sardine. Il ragazzo era stanco, gli girava la testa, ma non voleva saperne di rincasare. Tanto non sarebbe riuscito a prendere sonno, lo sapeva bene. Sapeva bene cosa sarebbe successo, e per evitarlo, lui camminava e camminava, camminava spesso, anche fino alle prime luci dell‟alba, se fosse stato necessario. Girava tutta Faenza, la sua città, la sua marcia città che moriva attorno a lui, ogni giorno di più. Come tutto il suo mondo, il suo mondo caduto in malora, il peso della sua vita trascinato al piede, sotto forma di grande e pesante palla da carcerato...
Sì!, un carcerato, rinchiuso con le sue stesse mani, nella prigione che l‟esistenza aveva per lui costruito. E la catena, la catena a cui la grande palla se ne stava attaccata, gli mangiava la carne della caviglia, facendogliela sanguinare terribilmente. Questa storia, miei cari lettori, inizia così: inizia con un ragazzo di nome Franco, un ragazzo problematico, un ragazzo pieno di paure, di angoscia, di paranoie, che se ne andava lungo un viale di Faenza, nel cuore di una notte invernale. Qual era la strada giusta, adesso? Adesso che l‟ospedale civile, ormai, era passato... La lunga via costeggiata d‟alberi, quella andava bene! Franco girò alla sua destra. I grandi alberi lo fissavano quieti, la corteccia ghiacciata dalla gelida aria della stagione che ammazza la vita. Si fermò a una piazzola al suo fianco, al centro della quale, stava una grande fontana. Cercò di abbeverarsi, ma nonostante spingesse con forza il pulsante sull‟erogatore, di acqua neanche l‟ombra. Ce n‟era solo una pozza, raccolta ai piedi della fontana, ma era congelata. Una lastra di ghiaccio, sulla quale poteva specchiarsi, e vedere la miseria di uomo che era diventato: capelli neri, unti, fino alle spalle e barba lunga, ispida, due grandi borse sotto agli occhi, ficcati nelle orbite di un volto emaciato, sfigurato da una perenne espressione di tristezza. Siccome la testa gli doleva fortemente, decise di sostare un poco nella piazzola; si sedette, quindi, su una panchina di legno alle sue spalle. Su quella fottuta panchina, dove le bambinette si sedevano e se ne stavano tutto il pomeriggio, a parlare dei cazzi spompinati nei cessi della scuola. Con la testa che vorticava, stretta tra le mani, cercò di non pensare. Si concentrò, per evitare che i soliti cattivi pensieri prendessero il sopravvento, che i soliti tormenti, venissero a galla. Non voleva andare a letto, non prima di essere veramente sfatto, altrimenti sarebbe stato inerme nelle mani del nemico. Si alzò e riprese a marciare, a trascinare per le strade del faentino, la sua grossa palla da carcerato. Era proprio uno di quei vecchi bluesman delle sue canzoni preferite che, eternamente imprigionati, urlavano il proprio dolore, accompagnandosi alla chitarra. 

FINE ANTEPRIMA


Questo romanzo è stato pubblicato in versione cartacea e censurata da Claudio Nanni Editore nel 2016; tale edizione è attualmente esaurita e risulta fuori pubblicazione per volontà dell'autore stesso (in quanto censurata). La versione integrale è stata pubblicata in sola edizione digitale nel 2018 sullo store di Amazon, a cura dell'autore stesso, che ha finalmente potuto rendere pubblica l'opera senza censure; è possibile acquistarla al seguente indirizzo al prezzo di 2,99 euro (oppure gratis per gli utenti KindleUnlimited):

Sotterraneo al Chiaro di Luna - versione integrale - EBOOK


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